13 aprile 2019 - 09:07

Giancarlo Galan e i soldi degli altri imprenditori, una lista di 100 nomi. «Così portavamo il nero all’estero»

Una decina di industriali legati ai commercialisti di Galan confessa peccati (non più punibili) del passato

di Alberto Zorzi

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VENEZIA Uno era «elefante», l’altro «muflone». Bastava chiamare il numero, dire il codice e il giorno dopo era fatta. «Avevo un numero telefonico svizzero e quando lo chiamavo mi identificavo con un nome di comodo, loro mi mandavano giù uno “spallone” che veniva a prendere i soldi», ha raccontato ai finanzieri Flavio Campagnaro, l’imprenditore veneziano attivo nell’ortofrutta e nell’immobiliare. «Glieli ho consegnati a più riprese a tranche non inferiori a euro 100 mila cadauna, generalmente presso un ristorante di Scorzè - è stato il suo racconto - Lo “spallone” era sempre lo stesso uomo, non ho mai saputo il nome e si presentava alla guida di una vettura con targa Svizzera». Idem il suo socio Sergio Marangon, cioè «muflone». «Mi assegnarono quel nomignolo, che avrei dovuto utilizzare per ogni futuro contatto relativo all’investimento», ha detto. Agli atti dell’inchiesta del pm Stefano Ancilotto che ha portato al maxi-sequestro da 12,3 milioni di euro nei confronti dei commercialisti padovani Guido e Cristian Penso e Paolo Venuti, della moglie di quest’ultimo Alessandra Farina (per una quota di 300 mila euro) e dei due mediatori svizzeri Bruno De Boccard e Filippo San Martino (per 732 mila euro), ci sono le confessioni degli imprenditori veneti che per un paio di decenni, se non di più, prima hanno incassato una montagna di soldi in nero, poi li hanno portati nei paradisi fiscali (Svizzera, Bahamas, Panama, Curaçao e così via), quindi, per la maggior parte, nel 2009 li hanno «scudati»: per cui non sono più perseguibili. La Finanza ha ricostruito movimenti per decine di milioni: 29 riferibili a una ventina di imprenditori trovati nella lista sequestrata a De Boccard, più la posizione di Damiano Pipinato. «Negli anni ho accumulato ricchezze anche provenienti da evasione fiscale - ammette a verbale Campagnaro - Lo sapete, era la prassi, anche indotta dall’esagerata pressione fiscale. Fatto sta che i soldi in “nero” avevo bisogno di depositarli all’estero». Campagnaro ha spiegato di aver effettuato tra le 50 e le 80 consegne di circa 100 mila euro l’una (gli contestano infatti 5 milioni), mentre Marangon ha parlato di 30-40 per 40-50 mila euro (un milione e 200 mila). Lo «spallone» si teneva l’1 per cento, messo in una busta a parte.

L’indagine della Guardia di finanza (archivio)
L’indagine della Guardia di finanza (archivio)

I viaggi in Svizzera

Ma c’era anche chi, come Marcello Bernardi, deceduto nel 2007 e titolare di un paio di hotel a Montegrotto Terme, andava lì di persona. «I miei genitori ci avevano informati che erano loro direttamente a recarsi in Svizzera, a più riprese negli anni - ha raccontato il figlio Stefano - per portare i soldi in contanti non dichiarandoli alla dogana». «L’importo ammontava a circa 3 milioni», ha aggiunto la sorella Maria Rosa Bernardi. Anche il costruttore Mauro Frasson andava direttamente oltrefrontiera. «Dal 1993-94 a fine anni 1998-99 sono andato 3 o 4 volte con al seguito degli importi in contanti - ha spiegato - Ricordo che non andavamo allo sportello ma negli uffici che la banca aveva per i clienti “particolari” (...) Provenivano dal “nero” che facevamo, anche vendendo degli immobili, dichiarando negli atti notarili importi falsi, diversi da quelli realmente incassati». Ha ammesso di aver portato in Svizzera 800-900 mila euro anche Mauro Mastrella, imprenditore trevigiano del gioco: «Era il nero della mia impresa». A tirare le fila degli investimenti erano proprio De Boccard e San Germano, ora accusati di intermediazione abusiva. E quasi tutti sottolineano come quest’ultimo gli fosse stato presentato come il referente dell’allora Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. «Era la loro “longa manus” per gli investimenti all’estero», ha spiegato l’imprenditore agricolo Primo Luigi Faccia. Cariparo spunta anche nel verbale di Giovanni Gottardo, altro albergatore di Monselice, che gestiva il «nero» con l’allora direttore della filiale di Abano. «Ogni 10-15 giorni mi chiamava chiedendomi se avevo disponibilità - ha spiegato - Passava presso l’hotel e io gli consegnavo brevi manu il denaro contante (...) In tutto 500 mila euro». René Caovilla, famoso per le sue scarpe di lusso, ha ammesso le somme all’estero, mostrando gli atti dello «scudo» per 2,3 milioni di euro. Un milione («provento di evasione fiscale») l’aveva affidato a San Germano un altro albergatore veneziano, Odino Polo.

L’investimento in Nicaragua

Faccia e altri fecero anche un investimento in una fazenda in Nicaragua: lui ci mise 250 mila dollari («non si sa bene dove sia finito tale investimento», ammette), altrettanti i calzaturieri veneziani Ignazio e Filippo Baldan, che proprio tre settimane fa hanno inaugurato a Noventa Padovana uno stabilimento alla presenza del governatore Luca Zaia, altri 800 mila i Frasson (Roberto, oltre a Mauro, che ha detto di «reputarlo perso»). Ha negato di aver partecipato invece Giovanni Roncato, il re delle valigie (anche se ieri la nipote Federica ci ha tenuto a sottolineare che i fatti riguardano la Rv Roncato e non la Ciak Roncato, nata dopo la scissione famigliare), che ha però ammesso di avere soldi all’estero, facendo un’inedita rivelazione inquietante, ammettendo di non aver mai fatto denuncia. «Avevo iniziato a tenerli lì parecchi anni fa, a seguito di gravi minacce di morte per i miei figli fatte nel periodo in cui la banda di Felice Maniero operava molti sequestri di persona - ha detto Roncato ai finanzieri - Queste minacce mi indussero a consegnare all’epoca cospicue somme di denaro ai malavitosi ignoti in due occasioni: circa 200 milioni di lire a volta, con consegne in contanti al casello Padova ovest». La «lista De Boccard» aveva più di cento nomi, molti di società straniere. Le fiamme gialle guidate dal colonnello Gianluca Campana devono ora decidere se investire tempo e risorse a caccia degli evasori, con il rischio però che si trovino reati prescritti o importi già «scudati» e dunque non più perseguibili.

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