21 febbraio 2019 - 08:28

Camorra in Veneto, il giallo dei soldi in Vaticano. E il boss cita un «monsignore»

Nelle carte un’intercettazione tra uno degli indagati e il capo della cosca: «Entro con lui, si alzano tutti in piedi». Si parla di denaro fuoricorso della Ddr

di Andrea Priante

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VENEZIA Tra le pieghe della maxi inchiesta sui Casalesi di Eraclea spunta il giallo delle vecchie banconote della Ddr, la Repubblica Democratica Tedesca: quella fetta di Germania che fino al 1990 fu sottoposta all’influenza dell’Unione Sovietica. Stando a quanto ricostruito dagli investigatori, Pietro Morabito (uno degli indagati) nel luglio del 2011 propose al boss Luciano Donadio di riciclare interi bancali di marchi della Ddr che - non si sa bene come - erano finiti nelle disponibilità di alcuni malavitosi campani. L’idea era di cambiarli con valuta attuale, attraverso quindi un’operazione di riciclaggio che doveva avvalersi della collaborazione di un ex funzionario di banca che vantava buoni contatti in Austria. Il primo carico di denaro venne scoperto dalla guardia di finanza a San Donà di Piave: Morabito fu fermato con un trolley che conteneva qualcosa come duecentomila marchi dell’ex Germania dell’Est. Nel giugno del 2012, per smerciare altre banconote fuoricorso si ricorre perfino a un misterioso prelato collegato al Vaticano, al quale sarebbe stato affidato un ruolo nel piano della banda. In ballo, c’era un nuovo carico di banconote dell’ex Ddr: «Quattromila fogli» che secondo Morabito potevano essere venduti «a dieci euro l’uno entro pochi giorni».

L’operazione della Finanza a Eraclea (Vision)
L’operazione della Finanza a Eraclea (Vision)

L’intercettazione

Una settimana dopo, Donadio si vede consegnare il denaro fuoricorso. «Sono 4.150 pezzi» assicura Morabito, intercettato. Ed è a questo punto che nell’affare si inserisce Samuele Faè, l’imprenditore di Caorle che è tra le vittime del broker Fabio Gaiatto, a cui aveva affidato nove milioni di euro. Ora è indagato per aver aiutato i Casalesi a spostare i soldi in banche estere. Il boss, infatti, consegna le banconote a Faè che «doveva monetizzare presso lo Stato del Vaticano», annota il gip nell’ordinanza di arresto. L’imprenditore spiega a Donadio che avrebbe portato i soldi in «Storione San Nicolò 5, Vaticano». E quando Donadio gli chiede «Se ti vedono quando entri là dentro?», lui non fa una piega: «Chi se ne frega: io entro accompagnato da monsignor Momona, si mettono sull’attenti». In effetti proprio accanto ai confini del Vaticano c’è «via Nicolò Quinto» dove hanno sede diversi palazzi frequentati dalla curia, come il Pontificio Collegio Portoghese. Impossibile sapere chi sia quel monsignore e quale fosse il suo ruolo nell’operazione illecita. Anche perché la cessione delle banconote non andò buon fine: a quanto pare la trattativa saltò perché il cliente offrì meno soldi di quanto concordato.

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