28 aprile 2018 - 11:04

Pietro Marzotto: in fiera con gli operai, in auto con i sindacati. Il ricordo dei dipendenti. Lutto cittadino e messa il 2 maggio

Camera ardente sabato, domenica, lunedì e il Primo maggio

di Silvia Maria Dubois

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Pietro Marzotto
Pietro Marzotto

VICENZA «Il braccio di ferro sui nuovi orari di lavoro degli operai durò quarantotto ore filate. Il conte non voleva darci soddisfazione, voleva inserire un vincolo sulla produttività: alle 5 del mattino sbottò, ci distrusse il documento davanti agli occhi e andò via. Dopo pochi minuti ci chiese scusa e firmò la trattativa». Era il 1977. E questo era il conte Pietro Marzotto, che è morto a 80 anni all’ospedale di Portogruaro il 26 aprile 2018. In anni socialmente durissimi, un uomo ricco e potente riusciva a non essere definito «capitalista», «padrone», «nemico» dalle masse effervescenti e dalla letteratura dell’epoca. Per operai e sindacalisti Pietro era «l’unica controparte riconosciuta con cui dialogare». Un contro-sindacalista, insomma. Osso duro, ma presente. Affascinante e lungimirante. I lavoratori degli Anni Settanta lo ricordano così. E ci saranno tutti alla camera ardente prevista al Lanificio Marzotto (qui la simbologia si fa ancora più intensa) nel Primo Maggio dello stabilimento di Valdagno. ma non solo. Sarà possibile dare l’ultimo saluto al conte Marzotto anche sabato, domenica e lunedì alla Fondazione Marzotto dalle 15 alle 17. «Aveva un grandissimo rispetto per il ruolo dei sindacati» racconta Oscar Mancini, ex segretario della Cgil che, nel 1972, a soli 24 anni, fu catapultato nella realtà tessile di Valdagno, proprio in concomitanza con il nuovo compito di Pietro Marzotto, amministratore delegato dell’azienda.

Lutto e messa a Valdagno il 2 maggio

Camera ardente l’1 maggio dalle 10 alle 18 al Lanificio Marzotto. E sabato 28 aprile, domenica 29 e lunedì 30 alla Fondazione Marzotto dalle 15 alle 17. L’amministrazione Comunale di Valdagno ha proclamato per mercoledì 2 maggio 2018 il lutto cittadino. E una messa dalle 11.00 alle ore 12.30 circa.

Gli anni del conte

In quegli anni era un tripudio di contestazioni e di mutamenti: i delegati di reparto nel consiglio di fabbrica erano ben 211, roba da suggestione sovietica. «Ma lui restò sempre lucido, lungimirante - prosegue Mancini - ci teneva testa, ma si rivelava sempre un imprenditore illuminato. Dimostrò una sensibilità verso il territorio che poi, in seguito, nessuno dimostrò più». Già, come quella volta che andò con le stesse sigle sindacali alla Fiera di Hannover, anno 1978, per vedere i nuovi telai. «Li compro o no?» chiese alle corporazioni dei lavoratori. «Certo, sono d’avanguardia, fu la nostra risposta - ricorda Mancini - ma subito si mise in chiaro che si doveva contrattare anche la nuova assegnazione delle mansioni in merito». Pietro tergiversò, poi si fidò dei sindacati. Come si fidava degli operai. Senza farlo troppo vedere. Dispensava aiuti e consigli senza chiedere pubblicità. «Io lo incontrai a Roma, nel 1992, insistette per darmi un passaggio - prosegue Mancini -. Ma non solo: qualche anno dopo, sempre in tema di confidenze, scoprimmo di votare lo stesso partito di sinistra! Mi confidò anche che gli feci sputare sangue negli anni precedenti». Era un personaggio, Pietro. Consegnava anche piccole commedie quotidiane all’ombra della vallata. «Mi raccontò Bruno Oboe, suo grande amico, che per qualche settimana gli operai vissero nel panico e nel mistero» ricorda Gigi Copiello, ex segretario Cisl. Era la metà degli anni Ottanta. «Tutti i giorni il conte si chiudeva in ufficio a fare lunghe telefonate in Russia». Si pensò ad una vendita del marchio, le barricate erano già pronte. «Bruno ebbe il coraggio di prenderlo in disparte e di chiedere cosa avesse in mente - prosegue Copiello, con i toni di chi racconta una favola -: si scoprì che quelle chiamate erano indirizzate a quella che sarebbe stata la sua seconda moglie, Mariolina».

I sindacalisti

Oboe: ex segretario Cisl Veneto, si guadagnò sul campo la stima di Marzotto. Ma successe pure il contrario. «Pietro ci teneva tantissimo alla sua opinione e vederli discutere insieme era uno spasso: si provocavano con affetto» raccontano gli operai. Sergio Spiller, invece, è uno dei testimoni dell’epoca anni Ottanta-Duemila: «Il conte ebbe la lungimiranza delle acquisizioni - spiega -perché se è vero che la Marzotto era un colosso in italia, è anche vero che era un nano in Europa». E allora via all’operazione Lanerossi e Hugo Boss. «Pietro era uno stratega ed era carismatico - ricorda il coordinatore nazionale Cisl Marzotto - nessuno di noi, per nulla al mondo, si perdeva l’incontro annuale che organizzava con dirigenti e sindacati». Ma c’è chi va ancora più indietro nei ricordi: Carlo Zattera, ex segretario Tessili Uil, ricorda la protesta del 1968, con la caduta della statua di Gaetano Marzotto. Ma ricorda proprio tutto: il primo tentativo, la corda che si spezzò, le migliaia di persone riversate in piazza, il tonfo e il silenzio. «Per me, personalmente, l’abbattimento della statua fu una cosa brutta – racconta Zattera, ex operaio oggi in pensione – un momento “cardine”, da quel punto in poi cambiò la visione della famiglia Marzotto nei confronti della città. Un po’ alla volta molto di quello che la famiglia gestiva direttamente nella Città Sociale, dal dopolavoro alle piscine, venne “regalato” al Comune. Altre attività semplicemente sparirono». E Pietro? «Fu nostra controparte ai tavoli delle trattative dalla fine del 1971, il suo interesse per i lavoratori non era mai all’ultimo posto». Già, come quella volta che «beccò» un macchinista abbracciato ad una stiratrice. Sorrise, non disse nulla. Sempre un po’ complice dei suoi operai.

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