8 marzo 2019 - 09:40

Bologna, 8 marzo: migliaia in corteo contro violenza e precarietà

Altissima partecipazione alla manifestazione «Non una di meno». Contestato La Russa alla Bolognina

di A.Testa, M. Amaduzzi, B. Persichella

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Dopo il pranzo sociale, il sit in per i diritti sul lavoro e un presidio in piazza, migliaia di persone hanno marciato per le strade del centro contro la violenza e la precarietà nel giorno della festa della donna. Alla Bolognina, alla passeggiata di Fratelli d’Italia, fischi e contestazioni da parte degli antagonisti.

Le parole dell’8 marzo

Le donne, certo. Ma anche gli uomini. I padri, i mariti, i compagni. E la società nel suo complesso. L’8 marzo non dev’essere un «recinto» o solo una rivendicazione di genere (seppur con tante e infinite ragioni) che racconta la continua rivoluzione culturale che ha rappresentato e rappresenta la figura della donna. Lo pensano e lo dicono le donne. Lo capiscono sempre più gli uomini. Quelli che coltivano il senso della libertà e del rispetto per le scelte e i diritti altrui. Diritti spesso ignorati e calpestati nei rapporti di coppia, dove il «maschio» si porta appresso un deficit culturale e sentimentale duro a morire. Allora, per parlare di 8 marzo oltre la bellezza e la retorica della mimosa, abbiamo scelto le «parole» per dirlo. Alcune parole nel mazzo di tante che rappresentano il luogo del cambiamento (o della difficoltà del cambiamento) culturale che fotografa il «protagonismo» della donna. Per capire il nuovo «corpo sociale» che si va componendo. Dal Lavoro alla Politica ai Diritti. Una riflessione generale per capire - insieme- chi siamo e dove andiamo.

Violenza

Sono 812 le donne che, nel 2018, si sono rivolte alla Casa delle Donne di Bologna. Di queste, 640 hanno chiesto aiuto per la prima volta, mentre 172 sono state seguite per la violenza subita negli anni precedenti. Sono state invece 64 quelle, con 62 figli a carico, ospitate nelle case rifugio presenti sul territorio metropolitano; 286 le segnalazioni e i 1236 colloqui. Rispetto al 2017, le donne in cerca di aiuto sono aumentate di 110 unità, il 16%: in crescita le nuove accolte (+12%), le donne già in percorso (+20%) e quelle ospitate nelle case rifugio (+21%). Trend in aumento anche in regione, dove sono state 4.215 le richieste giunte nei 14 centri che compongono il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna. Dalla regione arriva anche un dato che stravolge gli stereotipi correnti: le italiane che hanno chiesto aiuto sono il 65,9% del totale (1.919). Quelle con figli sono 2.071 (il 75%) con una media di 1,8 figli ognuna. La violenza ricade anche sui minori: quelli che hanno subito violenza sono il 55,9% del totale. «L’aumento delle richieste di aiuto — è l’analisi di Angela Romanin della Casa delle Donne di Bologna e presidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, che oggi aderisce allo sciopero indetto dal movimento Non Una Di Meno — dipende dall’aumentata visibilità mediatica del nostro servizio dedicato, dal fatto che abbiamo aperto un centro di emergenza in più e dall’implementazione della rete antiviolenza cittadina, contribuendo così a ridurre il silenzio e il senso di vergogna che spesso affligge le donne che chiedono aiuto». «Il nostro, fortunatamente, è un territorio sensibile, lavoriamo molto in rete con i servizi e con il pronto intervento sociale del Comune – aggiunge Romanin – Delle acquisizioni importanti sono state fatte; per esempio, sull’ordine di protezione (l’allontanamento del maltrattante e il divieto di avvicinamento alla donna, ndr) ben applicato in città. C’è però ancora molto da fare sulla sottovalutazione dei delitti, in senso ampio, contro le donne, troppo spesso derubricati a meri conflitti di coppia». In primis, la violenza psicologica che, «con denigrazioni continue, quasi sempre accompagna o precede quella fisica». La Casa delle Donne promuove già numerosi percorsi di formazione e sensibilizzazione sulla violenza di genere con avvocati, forze dell’ordine, medici, assistenti sociali e docenti delle scuole, «ma – chiude Romanin – dovrebbero essere fatti a tappeto e inseriti obbligatoriamente nei programmi di formazione curriculare delle diverse professioni».

Salute

La salute a Bologna è donna. Se pensiamo che già da alcuni anni il primato della donne tra le laureate in Medicina e chirurgia è conclamato. Basta guardare l’ultima indagine di AlmaLaurea sul profilo dei laureati (del 2017): tra quelli di Medicina il 56% è donna. E ci sono donne che arrivano all’apice della carriera: i direttori generali dell’Ausl e del policlinico Sant’Orsola soino donna, Chiara Gibertoni e Antonella Messori. Anche se va detto che gli ostacoli alle donne nella carriera all’interno degli ospedali sono ancora molti: non è così frequente trovare un primario donna nelle chirurgie e neppure tra i professori ordinari. Ma la salute è donna? I servizi sono pensati anche per andare incontro ai bisogni delle donne nelle varie fasi di vita e alle donne di diverse culture? «Cerchiamo di dare risposte anche innovative — spiega Chiara Gibertoni —, in un recente convegno abbiamo messo a confronto la medicina tradizionale con quella orientale nei trattamenti per le donne che affrontano la menopausa spontanea e indotta dalle cure contro i tumori. Al Bellaria abbiamo aperto “Donne al centro”, lo spazio polifunzionale dedicato alle donne operate al seno. Sono iniziative che vanno nella direzione di non dare non risposte tecniche». Non si può certo prescindere dall’esperienza dei consultori che sono nati proprio qui oltre 30 anni fa. «Nel 2018 più di 60 mila donne si sono rivolte a queste strutture compreso gli screening — chiarisce ancora Gibertoni —. Qui oltre a una serie di prestazioni ci sono il percorso nascita, le consulenze per l’allattamento al seno, lo spazio giovani per la contraccezione. L’anno scorso più di mille donne di età inferiore a 26 anni hanno ricevuto il contraccettivo gratuito come previsto dalla Regione». A Bologna il diritto all’interruzione di gravidanza non è mai stato messo in pericolo. Gli obiettori tra i ginecologi sono meno della metà e tra gli anestesisti meno di un terzo. «Rispetto al 2017 gli aborti sono calati, ne sono stati fatti circa 1.100 in meno — assicura Gibertoni —, e metà sono farmacologici, quindi meno traumatici. In compenso come Ausl abbiamo avuto un incremento nei parti: tra Maggiore e Bentivoglio sono stati 3.797 nel 2018». Va ricordato anche il lavoro che le Case della salute stanno facendo di prevenzione alla violenza sulle donne. Al Navile ha aperto lo spazio Liberiamoci dalla violenza: una decina gli uomini in carico attualmente.

Diritti

«I diritti non sono mai conquistati definitivamente, una volta per tutte, quindi non bisogna abbassare la guardia, neppure a Bologna, città che in questo campo ha una grande tradizione». Le parole dell’assessore comunale alle Pari opportunità Susanna Zaccaria, avvocatessa da sempre impegnata sul fronte della difesa dei diritti delle donne, ben sintetizzano il rapporto tra Bologna e le donne. Una città ricca di associazioni e di gruppi femminili, più o meno strutturati, che tengono viva l’attenzione su questi temi. Non è un caso che la Casa delle donne per non subire violenza sia nata a Bologna nel 1990, tra i primi esempi in Italia, e sia ancora un faro di riferimento. È di qualche giorno fa la manifestazione delle rappresentanti di una trentina di sigle davanti alla Corte d’appello per protestare contro la sentenza che ha quasi dimezzato, da 30 a 16 anni, la pena per Michele Castaldo, omicida reo confesso di Olga Matei, grazie alle attenuanti per la «tempesta emotiva» in cui si trovava l’omicida. Oggi invece saranno in piazza Maggiore le donne del collettivo «Non una di meno», per lo sciopero nazionale di 24 ore contro «la violenza maschile e di genere, il razzismo e la precarietà». Nei mesi scorsi non sono mancate altre proteste, come quella contro il disegno di legge Pillon definito «pericoloso, perché introduce la mediazione familiare, abolisce l’assegno di mantenimenti per i figli, limita la possibilità di divorziare o separarsi con l’obiettivo di preservare l’unità familiare, penalizza il coniuge meno abbiente minandone la libera scelta e ostacolando la denuncia delle violenze in famiglia». «Sono diversi i disegni di legge di questo governo che minacciano i diritti anche delle donne — spiega Zaccaria —, che hanno caratteristiche di arretramento e che denunciano la volontà di limitare i diritti, mentre noi siamo per garantirli a tutte e tutti, in modo inclusivo. Mi conforta vedere che a ogni tentativo di repressione c’è una reazione forte, le voci si alzano forte e si fanno sentire, almeno nel nostro territorio». C’è un fronte su cui Zaccaria vorrebbe lavorare di più, riconoscendo però che tanto dipende dal governo centrale e che le competenze locali sono molto limitate: le politiche per il lavoro, il tema della conciliazione dei tempi e i servizi. «Mi piacerebbe lavorare di più sulle condizioni sociali che consentono alle donne di scegliere veramente — assicura —, se devo stare a casa dal lavoro perché devo accudire i figli, nei nidi costa troppo e i soldi per una babysitter non ci son,o questo significa che non ho potuto scegliere liberamente di programmare la mia carriera e la mia vita. Se ci sono servizi, e a Bologna ci sono anche se si può sempre fare meglio, allora consento alle donne di decidere veramente, e non solo a quelle che possono permetterselo economicamente». C’è però un grosso scoglio culturale ancora da abbattere: il coinvolgimento, e convincimento, degli uomini. «È inutile protestare se poi gli uomini non godono neanche di quei pochi giorni di congedo parentale oggi consentiti — conclude —. Le conquiste si fanno insieme, e su questo c’è molto da lavorare».

Politica

Quote rosa e politica, l’Emilia-Romagna svetta nell’ultimo studio dell’Anci (l’Associazione dei comuni italiani) sulle donne amministratrici in Italia, diffuso proprio in occasione di questo 8 marzo. La regione è capofila in diverse classifiche sull’argomento. È prima per l’incidenza delle donne alla carica di sindaco (raggiunge quota 21,1%, al secondo posto c’è il Veneto e poi il Piemonte), così come per quella di vice sindaco (37,3%, subito dopo c’è la Toscana) e di assessore (47,4%, seguita da Puglia e Toscana). Resta indietro solamente per quanto riguarda il ruolo di presidente del consiglio comunale (si piazza a metà classifica con un’incidenza del 27,5%, al primo posto qui c’è la Basilicata con il 46,2%), ma guadagna posizioni con la poltrona di consigliera comunale (terza con il 35,6%, dopo Valle D’Aosta e Sicilia). L’Emilia-Romagna, però, può anche rivendicare un altro primato, più importante a ben vedere sulla lunga distanza. Quello di essere la regione con il maggior numero di Comuni amministrati da donne negli ultimi 30 anni (il 48,04% del totale), oltre a poter vantare di avere un suo Comune — Coriano in provincia di Rimini — a risultare primo in un’altra classifica, quella per il maggior numeri di mandati (7) con una sindaca alla guida dell’amministrazione. «Non si è mai soddisfatti a sufficienza di fronte a un tema così cruciale. Perché è importante il contributo femminile per cambiare e migliorare le istituzioni, e portare così un punto di vista divergente rispetto all’ordinario», guarda avanti Roberta Mori, presidente della commissione regionale per la Parità e i diritti delle persone (e consigliera regionale del Pd). «Il punto nodale passa adesso dai tempi di lavoro e dalla famiglia. Molti studi ci dicono, infatti, che tante donne si ritirano dal lavoro dopo il primo figlio — aggiunge la presidente della commissione Parità —. La sfida dunque è consentire a tutte le donne, quelle che hanno e che non hanno figli, di non essere ostacolate nella loro possibilità di aver ruoli pubblici, perché ce n’è bisogno per rigenerare le istituzioni e la politica». Nel suo studio l’Anci, dopo aver incrociato tutti i dati raccolti a livello nazionale, è riuscita anche a tracciare un profilo-tipo della donna amministratrice italiana. E così si scopre che in Emilia-Romagna il nome più frequente delle donne nelle istituzioni è Elisa, l’età media è di 46,7 anni, è laureata e fuori dalla politica fa l’impiegata. Dal dossier dell’Anci si evince pure che al Nord il titolo di studio prevalente è il diploma di scuola secondaria, la laurea invece al centro-sud.

Lavoro

Sono più istruite, ma incontrano maggiori difficoltà dei loro coetanei maschi per trovare un impiego. Sono circa cinquemila le ragazze disoccupate che, nell’area metropolitana, scontano il peso del fattore «M». La maternità, seppur solo potenziale, già ostacola il loro futuro professionale. La stima è di Marco Lombardo, assessore al lavoro di Palazzo d’Accursio. «Secondo i dati Istat, sul nostro territorio il tasso di disoccupazione delle donne fra i 25 e i 34 anni — precisa — è del 13,3% mentre per gli omologhi del genere maschile è il 5,9%». Un gap di 7,4 punti che racconta di un’assenza di lavoro più che doppia per le giovani donne rispetto agli uomini. «In numeri assoluti — prosegue l’assessore —, le disoccupate sono 14.413 contro i 10.636 maschi». Ben 4mila in più. Eppure, secondo i dati Icity Rate, Bologna, con il suo tasso di disoccupazione al 5,1%, è la seconda città di Italia per quantità e la prima per qualità del lavoro dopo Bolzano. E ancora è uno dei pochi capoluoghi in cui, proprio come accade nelle grandi imprese metalmeccaniche, anche le istituzioni, Regione e Comune per prime, hanno iniziato a sperimentare lo smart working: la possibilità, su base volontaria, di lavorare uno o due giorni alla settimana ovunque. «Neanche un territorio virtuoso come questo è in grado di colmare la differenza che separa uomini e donne — riflette Lombardo —. Ecco perché, all’interno del Piano per il Lavoro Giovani Più, stiamo intervenendo per provare a creare nuove occasioni di lavoro qualificato femminile». Lombardo si riferisce alla linea dedicata «Working Pink» pensata dall’Acli dentro al progetto Insieme per il Lavoro e che ha portato all’inserimento lavorativo di sette sulle dieci donne coinvolte. O alla sperimentazione sul lavoro agile che il Comune ha avviato ad ottobre con 110 dipendenti. E alla recente apertura del negozio Fiori Giganti di via San Felice con cui una madre di orgine ucraina ha coronato il sogno di mettersi in proprio grazie ad un finanziamento di Emil Banca (sempre dentro Insieme per il Lavoro). «In attesa di capire quante donne otterranno il reddito di cittadinanza e se quel contributo sarà cumulabile con altri incentivi – conclude l’assessore – interverremo per abbattere il costo del lavoro che per le imprese è più alto sulle donne proprio a causa della maternità».

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