16 marzo 2019 - 11:43

Porto di Ravenna, il presidente Rossi: «I cinesi? Investano pure»

Il numero uno della struttura: «Nessun pregiudizio nei confronti della Bri»

di Enea Conti

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Il porto di Ravenna
Il porto di Ravenna

Un memorandum di intesa per sostenere la Belt and Road Initiative (Bri), passata agli onori delle cronache come «La nuova via della seta», il grande progetto della Cina che mira a costruire un collegamento infrastrutturale (su terra e marittimo) tra più di 80 paesi del mondo. A sottoscriverlo potrebbe esserci anche l’Italia, secondo quanto detto qualche giorno fa dal sottosegretario allo sviluppo economico Michele Geraci al Financial Times. Così mentre i riflettori vanno via via accendendosi sull’incontro in programma a Roma il 21 marzo tra i vertici di governo e il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping — in caso di sottoscrizione l’Italia sarà il primo Paese del G7 ad aderire— , infiamma il dibattito sui reali effetti di un eventuale accordo. Per alcuni — Lega compresa, malgrado le dichiarazioni di Geraci — un possibile accordo penalizzerebbe l’Italia.

Sponda dalla Romagna

Una sponda però arriva dalla Romagna dove c’è chi non se la sente di demonizzare eventuali interconnessioni tra Italia e Cina. Per il presidente del Porto di Ravenna Daniele Rossi, «è necessario prestare attenzione a esprimere giudizi sommari, positivi o negativi che siano. Gli investimenti cinesi in Italia, perlomeno sul territorio in cui opera il nostro porto, se normati da regole ben precise e se portati a termine nel rispetto delle leggi già vigenti potrebbe rivelarsi delle opportunità». E per corroborare la sua visione Rossi prende ad esempio quanto accaduto a Ravenna con l’apertura della filiale italiana della China Merchants Group, un player internazionale attivo nel settore dell’offshore — che nel territorio ravennate costituisce una fetta importante del tessuto economico— e delle crociere. «Sul territorio la presenza di questo colosso ha portato enormi benefici. Nella filiale lavorano 60 dipendenti, 50 assunti nell’ultimo anno. Sono tutti ingegneri. Ed entro il 2019 ne assumeranno altri 50». C’è però un aspetto del dibattito che sta nascendo intorno alla Belt che il presidente tiene a sottolineare: «Mi chiedo — rifletto — perché in Francia, quando optano per puntare programmi economici sugli investimenti dei cinesi non si riscontrano i polveroni che vengono sollevati da noi, in Italia. Ripeto: un investimento, se ovviamente portato a compimento nel rispetto delle norme, dovrebbe essere un vantaggio per tutti». Subito dopo il soggiorno in Italia previsto tra il 21 e il 23 marzo, Xi Jinping partirà proprio alla volta della Francia.

La contrarietà del Veneto

Nel calderone del dibattito va annotato che rispetto alla Romagna è parecchio diversa l’aria che tira, invece, in Veneto. Secondo il presidente di Unindustria Pordenone Michelangelo Agrusti bisogna evitare in tutti i modi che Pechino entri nel porto di Trieste». Il motivo? «Il rischio — ha spiegato ai cronisti del Gazzettino — è che un ampio spazio di manovra concesso ai cinesi finisca per danneggiare e non poco il sistema manifatturiero di tutto il Nord Est». Un monito è arrivato, intanto, anche dal presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani. «Bisogna prestare attenzione — ha detto in riferimento al memorandum — Il rischio è quello di cedere porzioni di sovranità nazionali alla Cina».

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