11 luglio 2018 - 08:44

Zuppi-Borgonzoni, sull’accoglienza non c’è confronto. Lui parla, lei va via

L’incontro era stato organizzato in San Petronio partendo dal discorso del 2000 sui migranti del cardinale Biffi. La leghista critica le Ong, il vescovo le difende

di Marina Amaduzzi

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BOLOGNA — Che siano due punti di vista sull’immigrazione alternativi e per certi versi inconciliabili, quello della senatrice della Lega e sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni e quello dell’arcivescovo Matteo Zuppi, lo si è visto rappresentato, anche plasticamente, martedì sera. All’incontro organizzato in una saletta della basilica di San Petronio partendo dal discorso del cardinale Giacomo Biffi del 2000 sull’immigrazione non c’è stato alcun confronto. Anzi. Nel momento in cui Zuppi ha iniziato a parlare, la senatrice si è alzata e se n’è andata. Senza ascoltare un minuto di quel che l’arcivescovo aveva da dire (e ne aveva). Sarà stato per quel lieve ritardo iniziale di Zuppi, che ha fatto slittare l’avvio dell’incontro di una decina di minuti, o di quel treno per Roma che Borgonzoni non poteva perdere. Ma tant’è. Zuppi di risposte da darle ne aveva. Eccome.

Attacco alle Ong

Borgonzoni ha voluto subito precisare che quella tra lei e Zuppi «non è una sfida». «Siamo a questo tavolo perché tutti vogliamo trovare una soluzione al problema dell’immigrazione irregolare — ha detto — che ha portato tanti problemi a noi e a chi arriva nel nostro Paese». Ovviamente ha difeso la politica del governo sui migranti: «Dobbiamo capire che se facciamo arrivare qua una marea di persone, per poi farle finire vittime della tratta o della criminalità organizzata, non siamo per niente buoni. Vanno aiutati nei loro Paesi, come diceva il cardinal Biffi, e su questo ci impegneremo facendo accordi seri e investimenti nei Paesi da cui provengono. Dobbiamo iniziare a dirci con onestà che tutti non possiamo prenderli». Poi ha attaccato le Ong. «Da quando si sono avvicinate alle coste libiche sono aumentati i morti». Citando il documentario Fuocoammare ha aggiunto: «Prima che si avvicinassero così tanto alla Libia, i migranti venivano messi su pescherecci che potevano attraversare tutto il mare, ora gli scafisti hanno cominciato a metterli su gommoni che affondano subito e le Ong non riescono ad arrivare in tempo per salvarli».

La risposta di Zuppi

Una tesi completamente rifiutata da Zuppi, che in quel «due cose però devo dirle» non usa mezze parole. «Mi spiace che sia andata via... ma se uno mi dice “le Ong sono complici degli scafisti?” io dico no. Enne O. Ci sono delle Ong ingenue? Questo è un altro discorso. Se stanno lì è perché c’è un problema, non per convenienza. Poi se ci sono delle scorrettezze è giusto che ci siano delle indagini. Ma credo che non dobbiamo mai rinunciare a quell’intervento umanitario». Un concetto che già aveva chiarito nelle prime delle «due cose da dire». «Se uno sta in mezzo al mare va soccorso, è la legge, non c’è niente da fare, poi è vero che l’Italia non può essere l’unico Paese che si fa carico dei soccorsi, è necessario che ci sia una risposta unitaria dell’Europa, ma mai sulla disperazione di qualcuno». Dunque dove sta la soluzione? L’arcivescovo ha elogiato la cooperazione, i progetti del Cefa in Tanzania: «Hanno iniziato gli allevamenti per produrre il latte e i formaggio, con pochissimo, per la cooperazione si spende scandalosamente pochissimo». Ha citato i corridoi umanitari, come quelli che hanno portato tre famiglie all’Eremo di Ronzano. «Sono una risposta intelligente. La risposta va posta nella maniera più costruttiva e ferma, parliamo di persone — ha detto — e saremo ancora più forti se difenderemo la vita di chiunque». Ha ricordato più volte il discorso di Biffi, parole ancora così attuali a distanza di 18 anni: «Quando diceva che non servono banalizzazioni ansiolitiche e giulive minimizzazioni nell’affrontare la questione». Secondo Zuppi, dunque, «occorre avere realismo. Non accetto che la bontà e l’umanesimo siano ridotti a buonismo. Certamente la questione richiede un affronto sapiente, capace, determinato e intelligente. Non si può affrontare il tema con la semplificazione di Twitter, ma usando un linguaggio proprio e corretto».

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