17 agosto 2018 - 16:18

Firenze, addio a Danilo Zolo
Il filosofo sempre in trincea

È scomparso a 82 anni, per oltre 30 docente a Giurisprudenza. Fu allievo di Bobbio, la giovinezza con La Pira e «Testimonianze», poi la militanza per i carcerati e gli ultimi

di Edoardo Semmola

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Capivi subito che era diverso dagli altri perché era il professore a cui si dava del tu: amava troppo mettersi alla stessa altezza del suo interlocutore, senza finta modestia, da rompere subito la barriera linguistica del pronome di «cortesia». Perché voleva sempre sapere come la pensavi sul mondo, sulla pace e la guerra, sui i diritti, i doveri, le sfide che la vita ti pone. Soprattutto se la pensavi in modo differente da lui. Danilo Zolo era il professore e l’intellettuale che amavi e temevi, che incuteva un rispetto quasi religioso da dietro quella folta barba bianca da profeta, che non ti giudicava ma che non avresti mai voluto deludere lasciandoti scappare una sciocchezza detta senza pensare. Alto, magro, spettinato, occhi luminosi che sembravano sempre «accendersi», come la sua mente continuamente attraversata da un pensiero dopo l’altro come corrente elettrica. Gli potevi parlare di tutto, apertamente. Ma guai se ti vedeva fumare, non lo sopportava.

Il percorso

Danilo Zolo si è spento nella notte tra Ferragosto e ieri nella sua casa di Firenze, a 82 anni. Sabato 18 agosto i funerali ad Arezzo, dove il fratello del professore ha allestito la cappella di famiglia. Nato a Fiume, trasferito da ragazzo a Firenze per seguire il padre militare, era allievo di Norberto Bobbio e ha insegnato Filosofia del Diritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Firenze per oltre trentacinque anni — con una breve parentesi senese — prima di andare in pensione alla fine del decennio scorso. Insieme a Emilio Santoro ha aperto le porte del carcere di Sollicciano agli studenti, per fargli toccare con mano quanto prima appreso solo in teoria. È stato uno dei primi in Italia ad approcciarsi alle scienze sociali in chiave epistemologica. A suo modo, un rivoluzionario. Rivoluzionava soprattutto il modo di pensare di chi si approcciava a lui. Cresciuto nel cattolicesimo di Balducci e La Pira, passato poi al pensiero marxista, accusato dai detrattori di essere un «terzomondista». Ma sempre un libero pensatore.

L’amicizia con La Pira

Emilio Santoro è stato il suo principale allievo, con lui ha ideato e plasmato il corso di Sociologia del diritto. E poi, dopo la pensione, Santoro ha preso la sua eredità e la sua cattedra di Filosofia portando avanti la «scuola». «È stato un militante per tutta la vita, fin da quando, giovanissimo, era consigliere comunale a Firenze e già a 22 anni direttore di Testimonianze con Giorgio La Pira sindaco, di cui era amico e molto vicino» lo ricorda Santoro. «È forse la persona che meglio di tutti ha fatto vedere — prosegue — che militanza e assoluto rigore scientifico non erano elementi in contraddizione ma potevano coesistere. Lo chiamavano “ideologico” ma è stato lui il primo a portare nel dibattito italiano la teoria dei sistemi di Luhmann, grande personaggio ma uomo di destra. Lo accusavano di eccessivo “pacifismo” eppure è sempre lui quello che ha recuperato un pensatore di destra come Carl Schmitt». In 35 anni di lavoro insieme «non lo ho mai visto scrivere qualcosa perché la “doveva”, ma solo perché aveva voglia di dire qualcosa».

I saggi e i dibattiti

Il docente di Storia delle dottrine politiche a Bologna Gustavo Gozzi è stato suo amico e collaboratore per 3 decenni: «Un grande e originale studioso — lo ricorda così — con cui ho imparato a guardare allo Stato di diritto dal punto di vista multiculturale e non solo dalla prospettiva tedesco-italiana come da tradizione, ma con uno sguardo che abbracciava anche il mondo musulmano e cinese. Abbiamo lavorato al tema del Mediterraneo, anticipando i temi di oggi di molti anni, con il libro L’alternativa mediterranea nel 2007. Aveva un’ampiezza di sguardo unica». Oltre alla grande produzione saggistica di cui possiamo citare La democrazia difficile, (Carocci, 1989), Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale (Einaudi, 2000), La giustizia dei vincitori (Laterza, 2006), il carteggio con Bobbio L’alito della libertà (Feltrinelli, 2008), la collaborazione con Antonio Tabucchi per La testa perduta di Damasceno Monteiro, solo per elencare i titoli principali, erano i suoi studenti a incarnare la prova dell’assoluta eterodossia di questo intellettuale fuori da ogni schema precostituito. Dopo poche lezioni, chi lo seguiva se ne invaghiva. Finendo spesso a lavorare in carcere insieme a Santoro nell’associazione L’altro diritto, spinto dalla curiosità intellettuale di cui le sue lezioni erano portatrici. Chi non lo amava o non lo capiva, spesso fuggiva via dal corso, per rifugiarsi su sponde meno «burrascose», magari più comode ma anche meno affascinanti. «Era una persona per la quale il rapporto accademico era assolutamente secondario, anche con gli studenti contava di più quello intellettuale o politico della relazione cattedratica e non appena un ragazzo “usciva” dal ruolo di studente e mostrava personalità, lì instaurava il rapporto» racconta Santoro. Gli unici a cui non prestava troppa attenzione erano proprio quelli che vivevano la lezione come fosse un dettato. «Io stesso — prosegue Santoro — ho fatto con lui l’esame al secondo anno, e il giorno dopo ci davamo già del tu». Le sue lezioni «erano continue provocazioni intellettuali per suscitare dibattiti». E guai a tirarsi indietro, Zolo amava i temerari che sapevano sostenere le ragioni delle proprie convinzioni.

La battaglia per gli ultimi

Cittadinanza, carcere, ordine mondiale, erano i suoi terreni di ricerca da sempre. Per anni è stato tra i docenti italiani più ricercati dalle università americane e inglesi, soprattutto Pittsburgh, Harvard, Oxford, «perché credeva fosse imprescindibile il confronto con la ricerca sociale anglo-americana». Prima di virare, negli ultimi anni, verso il confronto con la cultura brasiliana «quando si rese conto — conclude Santoro — che per parlare della dominazione statunitense nel mondo aveva bisogno di un punto di vista differente. Zolo viveva sulla sua pelle gli studi che faceva».

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