16 marzo 2019 - 22:46

Migranti, dibattito in parrocchia:«Disobbedire è un atto di civiltà?»

Il confronto sul decreto sicurezza ospitato nella parrocchia di Santa Maria a Ricorboli

di Matteo Merciai

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«Quando disobbedire è un atto di civiltà?» Una domanda provocatoria alla quale è stato chiamato a rispondere, tra gli altri, don Massimo Biancalani, parroco di Vicofaro (Pistoia) al centro della cronaca nazionale per aver aperto le porte della propria chiesa a migranti anche irregolari. Venerdì 15 marzo, nella parrocchia fiorentina di Santa Maria a Ricorboli, si è parlato di immigrazione e decreto sicurezza, degli effetti sociali della legge firmata da Salvini, di un dovere morale che conduca alla sua inosservanza. All’interno della Chiesa di via Marsuppini, una sessantina di persone hanno accolto l’invito del parroco di casa, don Raffaele Palmisano, promotore di una linea volta all’accoglienza: «Dal 2008 ospitiamo chi bussa alla nostra porta, non solo migranti. Ragazzi ai quali è stato negato il permesso di soggiorno e con il ricorso in atto, altri fuoriusciti dal sistema Sprar e con la protezione umanitaria abolita dal decreto. Attualmente la nostra parrocchia accoglie quattro persone: la conoscenza vince la diffidenza».

Il Decreto sicurezza è per il magistrato Beniamino Deidda «una legge incostituzionale e razzista. Quando una norma contrasta con i principi fondamentali della Costituzione oltraggiando le libertà individuali, dobbiamo saperci opporre. Nel decreto troviamo gli stessi principi discriminatori delle leggi razziali fasciste: allora in pochi disobbedirono».Esempio pratico di insubordinazione al Dl sicurezza è rappresentato da don Biancalani, la cui parrocchia ospita centinaia di ragazzi sistemati nei locali clericali, persino in chiesa: «Andiamo oltre la figura di Salvini, dico ciò malgrado gli attacchi diretti subiti. Ci siamo trovati nella solitudine in questi mesi, avversati dalla politica di destra, molti dei nostri parrocchiani non hanno compreso. Mi è stato chiesto di portare i ragazzi in ambienti distanti dal paese, ho risposto con un no: la vera sfida è l’incontro tra noi e l’altro, non relegare il migrante in un non-luogo di emarginazione. La domanda che mi pongo è: adesso i ragazzi che stiamo accogliendo sono regolari ma quando saranno semi-clandestini cosa farò? Non li metterò in mezzo a una strada né andrò a denunciarli in questura…e quindi?».

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