7 luglio 2018 - 09:41

La scossa di Chiti per il nuovo Pd
«I big renziani si facciano da parte»

L’ex vicepresidente del Senato: disperso una patrimonio, ora serve un congresso costituente

di Paolo Ceccarelli

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Dice Vannino Chiti che il Pd è pericolosamente vicino alla fine. «L’arbitro sta muovendo il fischietto verso la bocca, tra poco arriverà il triplice fischio. Noi siamo in questa situazione. O diamo una svolta vera o purtroppo diventerà inevitabile superare il Pd per non far dilagare questa destra lepenista». L’ex vicepresidente del Senato, governatore della Toscana dal 1992 al 2000, lancia accuse pesanti al gruppo dirigente vicino a Matteo Renzi: «Hanno disperso un patrimonio in Toscana e fuori: dovrebbero avere la responsabilità di farsi da parte».

Chiti, oggi l’assemblea nazionale del Pd deve decidere che strada prendere dopo la disfatta del 4 marzo. Lei è per far partire subito il congresso o rimandarlo a dopo le Europee del 2019?

«Io sono per aprire, prima del congresso, un confronto programmatico al quale chiamare non solo gli iscritti del Pd ma l’insieme delle forze di sinistra, dai sindacati al mondo delle associazioni. Qualche mese fa dicevo che è necessario cambiare le regole, creando l’albo degli elettori che vogliono partecipare al congresso e utilizzando le primarie solo per la scelta dei sindaci e delle altre cariche monocratiche. Oggi lo ribadisco ma dico che non basta: serve un congresso costituente».

Al Pd sembra servire più un ricostituente, perdoni la battuta.

(Ride) «È la stessa cosa in fondo. Dobbiamo chiamare tutto il mondo della sinistra, iscritti e non iscritti al Pd, a discutere delle ragioni della nostra sconfitta e delle priorità da portare avanti. A me non interessa se il congresso si fa a febbraio o a maggio, a me interessa che non sia solo un votificio a cui partecipano i soliti noti».

Alle Politiche del 2008 Pd e sinistra rappresentavano più di un toscano su due, oggi governano solo 3 capoluoghi di provincia su 10. Il «mondo di sinistra» di cui lei parla si è molto rimpicciolito...

«Guardi che quel mondo esiste ancora: ci sono centinaia di associazioni impegnate su temi come l’ambiente, il lavoro, il sociale. Il problema è che non hanno più un interlocutore, né nel Pd né in Liberi e Uguali. E poi guardiamo a cosa è successo ieri a Pisa: a una settimana e mezzo dalla sconfitta, dopo l’appello lanciato dalla consigliera regionale Alessandra Nardini, sindacati, forze sociali, esponenti di Pd e LeU si sono ritrovati in un’assemblea e hanno detto una cosa semplice: di fronte all’avanzare della destra lepenista, qual è quella di Salvini, bisogna restare in campo».

Sì, ma la Toscana non solo non è più rossa: diventa sempre più verde padano...

«No, quello della Lega non è verde padano ma verde-nero lepenista. Io però non mi rassegno: le cose in politica possono cambiare anche in 4 mesi. Lei parla del calo dei voti, ma io le dico che è successa una cosa peggiore: in Toscana si è disperso un enorme patrimonio politico-culturale. Eravamo l’emblema di quello che il Pd poteva e deve essere: qui il partito è stato fondato dalle forze della sinistra storica, dai cattolici democratici e progressisti che hanno raccolto eredità come quelle di La Pira, Maria Eletta Martini, Padre Balducci, dai repubblicani di sinistra. Ma poi il Pd è diventato un agglomerato di correnti in cui si discute solo degli assetti di potere e delle candidature. E a questo punto i responsabili di questa situazione dovrebbero avere almeno la responsabilità di farsi da parte…».

Si riferisce ai dirigenti renziani?

«Abbiamo perso Livorno e hanno detto: “È un dato locale”. Abbiamo perso Arezzo, e anche lì era un “dato locale”. E lo stesso hanno ripetuto dopo le sconfitte di Pistoia, Grosseto, Siena, Pisa, Massa... Ma in quale altra normale forza politica di sinistra le stesse persone avrebbero il coraggio di continuare a pontificare? Invece leggo che due giorni prima dei ballottaggi c’è stata questa riunione in via Forlanini con Antonello Giacomelli, Luca Lotti e i fedelissimi renziani. Non dico che quel vertice abbia influito sulle sconfitte, ma non sarebbe stato meglio andare a Pisa, Massa e Siena a dare una mano ai nostri candidati impegnati nei ballottaggi? Se si continua a pensare a chi fa l’europarlamentare o il governatore al prossimo giro, si distrugge il Pd».

Da quel vertice è uscito il nome di Caterina Bini come possibile segretaria regionale. Una pistoiese come lei. Dovrebbe essere contento: da quanto Pistoia non esprime il segretario del partito?

«Io penso che serva una grande discontinuità. E Caterina Bini in questi anni ha fatto parte della maggioranza che ha dilapidato il patrimonio che avevamo: mi sembra difficile che possa incarnare il nuovo. In ogni caso, anche per quanto riguarda il congresso regionale, prima bisogna fare una riflessione seria sulle sconfitte e su come ripartire. Poi, solo poi, i nomi».

E della candidatura di Zingaretti a segretario nazionale che ne pensa?

«Non avrà un nome da me. Ripeto: serve un congresso costituente. Altrimenti i renzianissimi, come li chiamate voi giornalisti, possono anche risparmiarsi sforzi come la riunione in via Forlanini: perché andando avanti così, forse potranno decidere chi fa il segretario del Pd toscano, ma sui sindaci e sul prossimo governatore consegneranno la scelta alla destra».

Nel Pd, e in quello che lei dice, c’è un convitato di pietra: si chiama Matteo Renzi.

«La situazione del Pd è paradossalmente quella del governo. Il potere formale e sostanziale non combaciano: Conte rappresenta il primo, Salvini il secondo. Io con Renzi ho avuto divergenze, ma gli riconosco intelligenza e il coraggio di mettere la faccia sulle scelte. Il suo torto più grande è aver fatto emergere gruppi dirigenti senza passione ma solo con un po’ di mestiere, spesso senza competenze, che hanno fatto della fedeltà e non della lealtà la loro bussola».

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