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Salvini, Mattarella e il principio naturale di difesa

L’ormai famoso decreto sicurezza, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, è stato firmato ieri dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La prima conseguenza immediata è che la prossima settimana la legge sarà finalmente in Parlamento, dove comincerà l’iter necessario alla sua approvazione. Certamente le Camere apporteranno delle modifiche, sebbene si tratti di un’iniziativa blindata nelle sue finalità ultime, essendo l’obiettivo principale promesso dalla Lega assieme al restante Centrodestra in campagna elettorale, e inserito poi nel contratto con i 5Stelle da Salvini stesso. Inoltre, è ovvio aspettarsi, tale riuscita sarà anche il miglior viatico possibile per il Carroccio alle prossime elezioni europee.
I dubbi del Quirinale sono stati forti, ed essi si sono fatti sentire nella nota con cui Mattarella ha accompagnato il suggello di ceralacca al protocollo: rispettare la coerenza della legge con i principi costituzionali, questa la sua giusta preoccupazione.

Ebbene, qui emerge però, purtroppo, il primo inghippo. Perché la domanda che sovviene spontanea è relativa non al fatto di specie ma alla generalità dei casi: davvero la nostra Costituzione non contempla l’auto difesa e la sicurezza come valori prioritari? Evidentemente no, sebbene tuttavia di sicuro la nostra Carta fondamentale formalizza molto più i diritti che i doveri, certificando maggiormente le libertà individuali rispetto alle tutele pubbliche di inviolabilità della realtà soggettiva.

Capitolo complesso quest’ultimo, soprattutto in un’epoca storica come la nostra, nella quale invece la sicurezza è tornata prioritaria tra le aspettative immediate dei cittadini, e la paura regna sovrana nelle metropoli e nei piccoli borghi, almeno nella percezione psicologica dell’esistente che ha la gente comune.
È in questa logica che va osservato, letto e poi analizzato il decreto sicurezza. Chi, infatti gira ancora per le strade e parla ancora con le persone sa molto bene che la difesa della propria incolumità individuale e familiare, nonché la salvaguardia della legittima proprietà, è considerata unanimemente come una necessità prioritaria e assoluta, almeno proporzionalmente alla intuizione assai vigorosa della scarsissima capacità di tutela di se stessi e delle proprie cose che le leggi oggi in vigore ottemperano e permettono.

Qui in causa non è, d’altronde, soltanto un giro di vite sui clandestini e una maggiore incisività sul fronte dell’illegalità, ma il contrasto alla mafia, ai soprusi, al racket e alla violenza di ogni tipo che si espande senza limiti e barriere ovunque, non da ultimo con l’insidiosa microcriminalità, spesso anonima e virulenta, che entra nell’intimità umana, danneggiandola irreparabilmente.
Oggi è diventato duro vivere, difficile proteggersi. Questo è un fatto. L’attuale decreto, perciò, rappresenta una svolta epocale positiva non tanto per i provvedimenti di stretta sui banditi, ma per la tavola delle priorità politiche che uno Stato deve avere, e che oggi malauguratamente non ha più.
Sant’Agostino diceva che senza la legge l’autorità politica è uguale al potere di una banda di briganti. Oggi siamo in grado di percepire questa differenza che deve tornare ad essere marcata con nettezza inossidabile. Perché esiste la politica altrimenti? Perché abbiamo bisogno dello Stato?
Non è certo per far fare campagne elettorali permanenti o per riempire gli studi televisivi di chiacchiere, ma perché l’essere umano ha bisogno di sapersi ragionevolmente al sicuro e al riparo da rischi e minacce altrui, per poter attuare una vita decente, per poter metter su famiglia, per poter lavorare, per potersi riposare, senza il terrore dell’altro.

Ci sono certamente valori più importanti dell’autodifesa: la libertà, l’amicizia, la fede, il lavoro, il progresso, il miglioramento delle proprie condizioni economiche. Ma nessuno di questi ideali può esistere se prima non è garantito dallo Stato il discrimine tra chi sta dentro la legge e chi sta fuori, tra chi si difende e chi perpetra violenza, tra la cittadinanza e la clandestinità.
Discorso duro questo? Scenario cupo?
Non credo. Ragionamento giusto, direi. Normale. In ogni caso, la globalizzazione ha mostrato ampiamente che né il virtuale, né il multimediale, né il multiculturale riescono a reggere se prima non ci si sente sicuri e difesi personalmente dallo Stato: nella propria vita, nei propri affetti e nelle proprie case. Così come non può esistere emancipazione femminile se una donna non può girare per strada senza rischi di stupro.

La verità è che il diritto all’autodifesa è un diritto naturale sacrosanto, sebbene sia un’extrema ratio, resa urgente qualora lo Stato non sia pronto a prevenire e a difendere in modo opportuno e pronto il cittadino dal pericolo di morte incombente che può subire dall’azione malvagia del prossimo.
E in un periodo forte e insicuro come il nostro è necessario avere una legge robusta e attrezzata che faccia ordine e contrasti la violenza e il disordine montante, proseguendo con mezzi pubblici ed organizzati quella difesa originaria della vita la cui conservazione è presupposto naturale e umano per ogni ulteriore e migliore finalità.

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