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Il M5S e la ricerca di un “piano B” (il lodo Travaglio)

travaglio, becchi

Se c’è un elemento che ha reso forte Matteo Salvini e più debole Luigi Di Maio in questi mesi è stato certamente quello di disporre di una alternativa al governo in carica, alternativa rappresentata dalla coalizione di centro-destra con cui la Lega guida molte amministrazioni locali ed importanti regioni, come Veneto, Lombardia, Friuli, Liguria e Sicilia (che in parte fa caso a sé).

Come è noto infatti disporre di un “piano B” rende sempre più forte ogni posizione e sempre più agevole ogni trattativa. Di questo vantaggio competitivo il leader della Lega ha fatto ampio uso in questi mesi, dosando spesso uscite mediatiche sue e dei suoi più stretti compagni di avventura politica.

Il tema tornerà di grande attualità nei prossimi mesi non solo per l’approssimarsi di scadenze elettorali importanti (si vota in Abruzzo, Basilicata, Sardegna, Emilia Romagna, Calabria e Piemonte) ma soprattutto perché l’anno che sta per iniziare sarà quello decisivo per comprendere se la coalizione gialloverde ha una sua dimensione strategica di medio-lungo periodo o se, invece, è soltanto figlia dell’emergenza post voto dello scorso 4 marzo.

In questo fine d’anno abbiamo però visto emergere alcuni aspetti che torneranno utili per proseguire nel ragionamento.

Abbiamo capito in primo luogo che tra Salvini e Di Maio c’è una intesa piuttosto solida, che combina aspetti personali, generazionali e di comune avversione per la classe dirigente precedente (di destra e di sinistra).

Abbiamo anche colto un elemento di carattere internazionale che li unisce, cioè l’ostilità all’establishment europeo attualmente al potere (esattamente quello che ha costretto il governo italiano ad una imponente revisione della legge di bilancio).

Infine abbiamo visto emergere non banali divergenze tra i gruppi dirigenti di Lega e M5S, di cui i più informati cronisti parlamentari potrebbero disquisire per ore.

Ecco quindi chiarirsi il panorama che avremo di fronte nel nuovo anno: l’alleanza di governo proverà a non andare in crisi, ma tutti i giocatori sanno che occorre disporre di un dignitoso “piano B” per poter giocare al meglio dentro il “piano A”.

Qui si inserisce una delle figure più importanti sul tema (almeno sul lato M5S), cioè il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio che, non a caso, oggi dedica il suo editoriale al futuro del Pd manifestando con chiarezza la sua preferenza per la soluzione Zingaretti, in quanto l’unica in grado di avviare un dialogo con il movimento senza pregiudiziali.

È assai rilevante il ragionamento di Travaglio e non solo per la sua forte influenza sui vertici del M5S.

È rilevante perché genera un naturale “piano B” per presenti e futuri dirigenti del Movimento ed è anche rilevante perché nell’attenuare le perplessità antiche su Salvini (il “Cazzaro Verde” in molti suoi articoli) scrive però che dentro la Lega c’è una scuola di pensiero (quella dei Maroni, Zaia, Fontana, Giorgetti) che continua a sostenere l’opportunità di un ritorno alla più “tradizionale” alleanza di centrodestra.

In buona sostanza, dice Travaglio, se dovesse finire in pezzi l’alleanza oggi al governo si aprirebbe lo spazio alla sfida delle sfide, che potrebbe non concludersi con una vittoria del centrodestra ad una sola condizione, cioè una forma di alleanza (più post-voto che altro) tra un nuovo Pd (verosimilmente senza Renzi) e un M5S nella sua fase 3 (dopo quella del VaffaDay e quella del governo con la Lega), fase nella quale anche la leadership di Di Maio verrebbe ridiscussa inevitabilmente.

Sappiamo tutti che con ogni probabilità i dati economici dei prossimi mesi saranno pesantemente negativi: quello che non sappiamo è se il governo riuscirà a gestirne gli effetti.

Le tensioni potrebbero far esplodere la maggioranza pur in assenza di reali alternative di governo immediatamente praticabili, anche perché la voglia di Salvini di fare un governo con Berlusconi è pari a quella di smettere di fare i selfie con la nutella (e altre prelibatezze). Però potrebbero verificarsi le condizioni per un nuovo confronto elettorale, che avrebbe necessariamente caratteristiche inedite.

Mettiamola così: nel 2019 non ci sarà motivo per annoiarsi.

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