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Perché l’affaire Siri è una bomba sul governo gialloverde. Parla Folli

Armando Siri non è l’ultimo galoppino della Lega di Matteo Salvini. Il sottosegretario alle Infrastrutture è un uomo chiave del Carroccio, vicinissimo al “capitano” e ideologo di quella flat tax che fa tanto litigare i gialli e i verdi. Per questo l’indagine per corruzione avviata dalla procura di Roma sul suo conto plana a picco sui palazzi della politica italiana. Dai Cinque Stelle il responso, durissimo, non si è fatto attendere. Da Luigi Di Maio a Danilo Toninelli (che ha revocato a Siri le deleghe) fino all’outsider Alessandro Di Battista il coro è uno solo: dimissioni. La Lega fa scudo intorno al suo uomo e respinge a priori l’ipotesi. Sarà il caso Siri a siglare il divorzio gialloverde? Formiche.net lo ha chiesto a Stefano Folli, saggista e notista politico di lunghissima esperienza.

Come inquadrare l’affaire Siri?

Sul piano giudiziario c’è poco da commentare, Siri non ha neanche ricevuto un avviso di garanzia. Sul piano politico la vicenda è dirompente. I Cinque Stelle cercano tutte le occasioni possibili per mettere spalle al muro la Lega. Oggi hanno subito messo le mani avanti, seguendo peraltro lo stesso copione di questi giorni su altri dossier. Ora ci sono due posizioni antagoniste e inconciliabili, uno fra Salvini e Di Maio deve fare un passo indietro.

Quanto conta Siri per il Carroccio?

Moltissimo. È l’uomo della flat tax, un fidatissimo di Salvini. Inchiesta giudiziaria a parte, che come in tanti altri casi potrebbe risolversi in un nulla di fatto, non c’è dubbio che la vicenda segnala una serie di rapporti della Lega con ambienti quantomeno discutibili al centro-sud. E rigetta sul Carroccio lo spettro di Forza Italia, partito cui apparteneva Paolo Arata.

Ci saranno ripercussioni politiche o il botta e risposta è un fuoco di paglia?

L’indagine avrà un impatto politico dirompente. Non vedo come Salvini possa accettare le sue dimissioni. Non mi sorprende che la Lega abbia fatto subito quadrato intorno a Siri, i leghisti continueranno a tenere duro perché si tratta di uno smacco micidiale in aperta campagna elettorale. È più probabile semmai che Di Maio faccia un passo indietro rinunciando alle dimissioni del sottosegretario. Dubito che una crisi di governo si apra sul caso Siri.

Eppure da Di Maio a Toninelli a Di Battista, di ora in ora cresce il numero dei colonnelli pentastellati che chiedono le dimissioni del leghista…

La vicenda Siri è già così una pietra di inciampo, è comprensibile che il Movimento non voglia attendere. Per i Cinque Stelle è un tema particolarmente comodo perché la corruzione è un loro storico cavallo di battaglia. Di Maio ha perfino accostato il caso alle dimissioni dell’ex presidente dem della regione Umbria Catiuscia Marini. Il ragionamento pentastellato è lo stesso seguito in altri casi: non bisogna aspettare il terzo grado di giudizio quando ci sono elementi pesanti di opportunità politica.

Curioso che proprio adesso che rischia di essere abbandonata, la flat tax leghista rischi di perdere il suo più strenuo avvocato…

Se non lo perde, comunque se lo ritrova azzoppato. Ad ogni modo dubito che possa essere la flat tax la goccia che farà traboccare il vaso. Se riceverà anche solo un contentino in quella direzione, Salvini potrà dirsi soddisfatto e non solleverà il caso politico. Anche perché le risorse per una tassa davvero piatta non ci sono.

Se dopo le grandi opere cede anche sulle tasse, Salvini rischia di scontentare il nord. Nelle roccaforti leghiste i malumori aumentano, ma nei sondaggi non c’è ancora una flessione dei consensi. Perché?

Non c’è perché l’elettorato del Nord continua a pensare che la Lega sia il meno peggio cui può aspirare in questo momento. È ovvio che gli elettori del Nord non sono contenti ma pensano comunque che la Lega sia migliore della concorrenza, se avessero un’alternativa convincente la loro insoddisfazione si trasferirebbe sul voto. Salvini al Nord ha ancora un grande capitale, ma non un’assicurazione sulla vita. Non può continuare a deludere a oltranza.

Cosa rimane della vecchia Lega bossiana e autonomista?

Non credo esista ancora una divisione così netta. Esistono delle sacche della vecchia Lega al Nord. C’è semmai la Lega pragmatica di Zaia, che non cerca e non cercherà mai lo scontro con Salvini e pure rappresenta un’alternativa alla Lega salviniana, fatta di amministrazione, territorio, concretezza. Zaia è molto diverso dal segretario, meno mediatico, più attento all’amministrazione, ma oggi sta ben attento a pestare i piedi al capo, perché sa che parlare di un dopo-Salvini è fantascienza.

E i recenti flirt di Confindustria con Luigi Di Maio? Gli industriali al nord hanno ri-cambiato casacca?

Dubito che il Movimento Cinque Stelle possa recuperare la fiducia di quel mondo. La vedo molto più semplice: gli industriali sono sempre in cerca di punti di riferimento nei vertici politici. Oggi per loro il potere politico è Luigi Di Maio, che è ministro dello Sviluppo economico, è in difficoltà e ha bisogno di qualcosa cui aggrapparsi.

Le Europee si avvicinano. Qual è la posta in gioco per Di Maio?

Inutile attaccare il carro davanti ai buoi. Diciamo che per tenere a bada gli avversari interni e riuscire ad andare avanti Di Maio deve superare la soglia psicologica del 22-23%. A patto che non ci sia un sorpasso del Pd sul M5S. Quello sì che sarebbe uno shock.

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