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Tre e più buone ragioni per il Mattarella-bis. Firmato Cicchitto

Di Fabrizio Cicchitto

Non ce ne voglia Bettini: Draghi resti dove sta fino al 2023, Mattarella anche. È l’unica soluzione per disinnescare una dannosa crisi di governo cui lavora alacremente (e contro i suoi interessi) la destra italiana, con il benestare di un dormiente Pd. Il corsivo di Fabrizio Cicchitto

Allo stato l’elezione del presidente della Repubblica è assolutamente imprevedibile. Su un piano personale, che ovviamente è del tutto ininfluente, esprimiamo la nostra preferenza. A nostro avviso la soluzione ideale sarebbe quella di prolungare la presenza di Sergio Mattarella e di mantenere la presidenza del Consiglio di Draghi fino al 2023.

L’ipotesi Bettini ci sembra avventurosa e disastrosa. Questa nostra preferenza deriva da ragioni positive e da ragioni negative. La ragione fondamentale è costituita dal fatto che se l’Italia sta facendo cose positive sia sul terreno della pandemia che su quello dell’economia lo deve alla combinazione fra “questo” presidente della Repubblica e “questo” presidente del Consiglio.

Il primo, Mattarella, è riuscito a interpretare e ad esprimere lo spirito profondo della nazione e anche ad avere una notevole udienza internazionale. Il secondo, Draghi, è l’unica personalità italiana che ha un livello internazionale e che nel contempo a livello interno ha la personale forza politica di far passare e talora di imporre le soluzioni che ritiene valide.

Con qualunque altro presidente del Consiglio noi avremmo già avuto almeno un paio di crisi di governo. Ad accentuare la gravità della situazione c’è anche un dato paradossale: solo grazie a Matteo Renzi, nell’inerzia del Pd, noi abbiamo evitato due pericoli: che nell’agosto 2019 Matteo Salvini provocasse elezioni anticipate per conquistare una sorta di potere personale e che nel 2021 si prolungasse una presidenza Conte che, passata la fase positiva da gennaio a giugno 2020, stava combinando solo guai con la copertura di una parte del Pd. Di conseguenza la cosa può piacere o dispiacere, ma se oggi abbiamo Draghi lo dobbiamo a Renzi, non al Pd.

In secondo luogo, a parte Forza Italia, che sotto la guida di Berlusconi ha seguito una linea razionale e di stampo insieme liberale ed europeo, per il resto le cose si complicano maledettamente. Il Pd per un verso è incapace di iniziative politiche di rilievo, per altro verso offre una gestione di stampo europeista e razionale di media professionalità, anche in presenza di profonde differenze interne. Il Movimento 5 Stelle è alla ricerca di un’identità e non è detto che la trovi, attualmente a rimorchio del Pd ed entrambi si aggrappano a Draghi, anche se Travaglio dà in escandescenze.

Una parte della Lega, quella che esprime la delegazione al governo (Giorgetti, Garavaglia, Stefani) e i presidenti di Regione (Fedriga, Zaia, Fontana) con il concorso centrista di Toti puntano a tutelare gli interessi delle imprese, del lavoro autonomo e anche degli operai del Nord, a mantenere i rapporti con l’Europa: per tutte queste ragioni governano al meglio e sostengono Draghi.

I problemi veri sono costituiti dai leaders della Lega e di Fratelli d’Italia, cioè da Salvini e dalla Meloni, al di là delle loro attuali differenze nella collocazione di governo o di opposizione. Nessuno poteva prevedere che sulla pandemia entrambi civettassero con i no vax e che sulla faccenda vaccini-tamponi essi giocassero una partita così ambigua e pericolosa, perdipiù imitati dall’incredibile Landini.

Parliamoci chiaro: come ha dimostrato il professor Harari in un articolo nel Corriere della Sera dal 1888 ai giorni nostri sono stati adottati vaccini con vincolo di obbligatorietà che hanno salvato la salute degli italiani: poliomielite, morbillo, difterite, vaiolo e alcuni altri.

In questa occasione, grazie all’uso forsennato dei social da parte di fonti internazionali irresponsabili che giocano al peggio, si è scatenata questa opposizione che evidentemente non è risolvibile con la semplice dichiarazione di obbligatorietà. Di qui il gran passo che, senza ledere la libertà di alcuno, spinge a vaccinarsi anche per una serie di interessi personali ed economici.

Per questo va respinta la proposta del tampone gratis, sostenuta anche da quel demagogo di Landini che non vuole fare i conti con gli operai no vax. Come ha detto giustamente il ministro Orlando per tutti c’è a disposizione gratis il vaccino, i no vax non possono pretendere di fare danni alla salute degli altri cittadini e anche di essere finanziati dallo Stato, cioè dai loro connazionali che si mettono a rischio con la loro irresponsabilità.

Tutto ciò complica le cose anche per quello che riguarda l’elezione del presidente della Repubblica qualora Mattarella non accettasse di prolungare la sua presidenza. Su questo terreno, però, vediamo che c’è un gran movimento a sinistra, su un piano mediatico e culturale. Per non far nomi vediamo una grande attività mediatica da parte dei Prodi e di Veltroni.

Per carità, Prodi ha scritto un libro e sta facendo interviste per esorcizzare quello che gli era successo nel 2013 e per criminalizzare definitivamente i 120 franchi tiratori reali. Proclamando di essere totalmente fuori gioco, però Prodi sembra anche evocare la reazione spontanea di chi può proporre la rivincita. A sua volta Veltroni sta andando avanti al ritmo di un libro ogni sei mesi, avendo per di più a disposizione il Corriere della Sera su cui scrive di tutto, dalla morte di Alfredino alla strategia della tensione.

Francamente però dobbiamo confessare che l’assoluto buonismo di Veltroni non ci convince. Non abbiamo dimenticato che nel ’92-’94 egli era il direttore dell’Unità, cioè uno dei quattro giornali (gli altri erano il Corriere della Sera, La StampaRepubblica) che alle 19 di ogni giorno si consultavano per attuare le indicazioni che arrivavano dal pool dei pm: così sono state fatte centinaia di sentenze anticipate e sono stati distrutti alcuni partiti. In secondo luogo, non ci ha mai convinto il “sincretismo” che metteva insieme i fratelli Kennedy ed Enrico Berlinguer: molto meglio la coerente proposta socialdemocratica e riformista dei miglioristi.

Tornando al presidente della Repubblica, allora, non vediamo né il recupero di un esponente della sinistra storica o ulivista, né l’affermazione di qualcuno che risponde a Salvini e alla Meloni. Come si vede il campo si restringe molto.

Per un verso c’è Berlusconi che garantirebbe tutti, ma che viene colpito dalla lupara di qualche magistrato che prosegue nella missione iniziata nel 1994; per altro verso c’è Pier Ferdinando Casini la cui storia è certamente suscettibile di discussioni e di rilievo, ma che però assicura a tutti senza eccezione alcuna razionalità, senso dell’equilibrio, continuità con Draghi e con Mattarella, elemento quest’ultimo decisivo per il presente e per il futuro.

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