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Colonialismo, le esperienze di Francia e Olanda nell’analisi dell’amb. Serpi

Di Paolo Serpi

In Nord America i francesi ampliano il loro controllo su vaste estensioni territoriali fin dagli inizi del 1600, ma il loro approccio è fondamentalmente diverso sia rispetto al modello spagnolo che a quello britannico. Gli olandesi sono apripista e parziali antagonisti dei britannici a tutte le latitudini, dall’Europa all’estremo Oriente, mentre con spagnoli e portoghesi svolgono un ruolo di contrasto e contenimento. La terza parte di una riflessione firmata da Paolo Serpi, ambasciatore, inviato speciale e ora professore alla Lumsa di “Storia e analisi delle crisi internazionali”

La Francia e l’evoluzione dell’esperienza coloniale della “latinità”

Il colonialismo francese naviga poco e cammina molto. Questo potrebbe essere in estrema sintesi il giudizio su una storia coloniale che vede la Francia impegnata nei grandi spazi territoriali del Nord America, ma soprattutto in Africa e in Asia, senza un effettiva affermazione sulle grandi rotte marittime dell’Atlantico e del Pacifico.

In Nord America i francesi ampliano il loro controllo su vaste estensioni territoriali fin dagli inizi del 1600, ma il loro approccio è fondamentalmente diverso sia rispetto al modello spagnolo che a quello britannico. Si fonda sostanzialmente su una alleanza con le popolazioni indigene, a differenza di spagnoli e inglesi, ma, rispetto a questi ultimi, non è in grado di mettere in campo un effettivo controllo dei territori conquistati con la presenza di una solida comunità coloniale proveniente dalla madrepatria. Il commercio delle pellicce alimenta in questo caso il controllo della colonia nord-americana e una solida alleanza con le popolazioni indigene, disperse su un immenso territorio.
In America Centrale, nelle Antille e in Sud America la presenza francese è limitata e produce alcuni effetti distorsivi sulla vita delle popolazioni locali e di quelle schiavizzate di origine africana.

Fra il 700 e l’800 il colonialismo francese cede progressivamente il passo a quello britannico nelle Americhe . Presente ma residuale a Nord, è quasi folclorico e decadente nell’area caraibica e delle Antille, dove importa, in parte distorcendolo, il messaggio di emancipazione della rivoluzione del 1789 dalla madrepatria. Questo condizionerà negativamente il corso e l’evoluzione sociale dei Paesi francofoni delle Antille.
Il caso di Haiti rimane in negativo lo stereotipo dell’influenza coloniale francese in America Centrale, simbolo di una distorsione permanente del modello sociale latino nelle Americhe, che invece Olandesi e Britannici riescono a trasporre in maniera più efficace e nel complesso accettabile.

In crisi nel tardo 700 e subito dopo l’esperienza napoleonica, il colonialismo francese riacquista vigore e consistenza in Africa ed in Asia nella seconda parte dell’800 e fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale.

Si tratta quasi di una estensione geografica che partendo dalla madrepatria attraversa l’Africa e si proietta nell’Oriente Asiatico creando legami linguistici, sociali ed economici che caratterizzeranno positivamente e negativamente l’evoluzione di nuovi Paesi ed etnie nei due continenti.

Nel complesso, l’esperienza coloniale francese rappresenta una evoluzione rispetto a quella spagnola e portoghese, sia sul piano sociale che su quello economico. E’ poi in qualche modo la cerniera storica fra colonialismo latino e nord europeo, olandese e britannico, che riuscirà in definitiva a creare vincoli politici ed economici meno intrusivi, ma più validi e duraturi fra madrepatria e Paesi colonizzati.

Va anche rilevato che l’imperialismo francese produce per la prima volta un autentica “osmosi” coloniale con le terre di conquista, portando a una maggiore e progressiva fusione nella madrepatria delle popolazioni e delle classi dirigenti delle nuove terre conquistate . Sullo stesso piano, solo la Gran Bretagna seguirà l’esempio francese, con effetti a lungo andare positivi sulla sua rilevanza di potenza mondiale, ma anche controproducenti sul piano della coesione interna.

Il colonialismo Olandese, antagonista e residuale

Potremmo definire in estrema sintesi il colonialismo imperiale olandese come un ponte fra quello iberico, ispano/portoghese e quello britannico, che ci ha accompagnato fino al secolo scorso.

Nasce all’inizio del 1600 in funzione antagonista rispetto alla Spagna e al suo Impero, combattendola frontalmente sia sulla rotta marittima delle colonie del nuovo mondo, sia in Europa, dove il successo progressivo delle Sette Province Unite, che diventerà poi l’Olanda moderna, disarticola progressivamente la base del potere imperiale europeo di Madrid e degli Asburgo spagnoli.

Nel primo periodo il colonialismo olandese è “arrembante” e piratesco, come e più di quello inglese. Lo precede e lo affianca, in chiave di destabilizzazione delle ambizioni ispano-portoghesi nelle Americhe e di preparazione di quelle rotte e insediamenti, che daranno il controllo di buona parte del sud Africa, come dell’estremo Oriente, prima agli olandesi e, dopo le guerre napoleoniche, ai britannici.

L’interesse per le Americhe è in realtà un semplice “apri-pista” per gli olandesi, che si contrappongono nel nord ai Britannici solo fino alla fine del seicento, mentre nel sud, con Spagnoli e Portoghesi, si limitano ad azioni di disturbo, senza mai forzare troppo la mano. Nelle Americhe, scelgono piuttosto la propria base strategica di consolidamento e di sviluppo nella vasta area delle Antille, dove ancora è molto viva la presenza olandese a livello culturale, economico e politico .

Il “Groot Desseyn” parte dunque dal Nord, si consolida nel Centro delle Americhe e prosegue al sud, come tappa per una sostanziale diversificazione geografica verso il Sud Africa e una proiezione piu’ efficace e sostanziale in Asia, dove gli Olandesi hanno trovato le loro basi di controllo territoriale ed economico-culturale più stabili e meno conflittuali.

Il colonialismo olandese è sostanzialmente corporativista e capitalista come quello britannico e, come quello portoghese, è sostanzialmente condizionato dalla limitatezza della Madre Patria, delle sue risorse umane, militari e materiali.

Analogamente al caso della Spagna, l’invasione Napoleonica di inizio 800 segna la fine definitiva del “Groot Desseyn” olandese, che si mantiene comunque vivo in estremo oriente e nelle Antille fin quasi ai nostri giorni.

Gli olandesi sono dunque “apri-pista” e parziali antagonisti dei britannici a tutte le latitudini, dall’Europa all’estremo Oriente, mentre con spagnoli e portoghesi svolgono un ruolo di contrasto e contenimento, che avrà un ruolo decisivo nella progressiva decadenza delle due potenze iberiche.

Come i portoghesi, sono i veri campioni di un colonialismo d’avventura e di commercio, quasi senza un retroterra territoriale nella madrepatria. Come gli inglesi, commercianti e marinai senza paura, ma poco radicati nelle loro terre di conquista.

Da ricordare, per inciso, che gli olandesi sono stati gli unici a minacciare seriamente la primazia di Londra alla fine del 1600, quando gli “Orange” condizionano le scelte dinastiche degli Inglesi e li insidiano anche militarmente nel cuore della loro stessa capitale.

(Terza parte di una riflessione più ampia che pubblichiamo a puntate su Formiche.net, qui la prima parte, qui la seconda)

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