Processo Pesci, il pentito: a Mantova c’erano affari importanti

Valerio racconta il battesimo di Rocca nella ’ndrangheta e punta il dito sul fratello del boss assolto in primo grado

MANTOVA. «Dovevamo uccidere una persona a Mantova. Il piano era già stato studiato ma non mi avevano detto chi era. Sapevo solo che era una persona che faceva i furti». Parola di Antonio Valerio, autore di sentiti mea culpa per svariati omicidi.

È lui, già condannato in Aemilia, il primo testimone al processo d’appello Pesci. Il primo dei quattro pentiti che i pm Claudia Moregola e Paolo Savio hanno voluto ascoltare. Una richiesta accolta dal collegio dei giudici, nonostante la ferma opposizione dei difensori. Che anche il 28 novembre sono tornati alla carica chiedendo di annullare la testimonianza. Sarà una battaglia dura: perché già i racconti di Valerio, uno che la ’ndrangheta l’ha masticata da quando, bimbo di dieci anni, giurò vendetta sul cadavere di suo padre morto ammazzato, puntano il dito in maniera precisa verso alcuni degli imputati dell’appello.

Rosario Grande Aracri, innanzitutto, il fratello del boss Nicolino assolto in primo grado contro la richiesta dell’accusa di una pena di quindici anni. «Su indicazione di Nicolino, ci appoggiammo a lui, che abitava vicino a Brescello, per organizzare l’omicidio di Giuseppe Ruggiero già nel 1991. Non lo portammo a compimento per una casualità». Valerio non sa se Rosario fosse stato battezzato secondo i crismi della cosca, ma che avesse lo stesso dna criminale del fratello sembra palese. «Oggi al nord si tende a non fare più il rito, perché solo per quello si rischiano dieci anni».

Uno, però, venne battezzato secondo il rito canonico della ’ndrangheta: Antonio Rocca, il muratore cutrese trapiantato a Pietole, puledro del boss nel Mantovano, che è qui per aver presentato appello contro la condanna in primo grado a ventisei anni e dieci mesi. «L’ho conosciuto a Cutro, e al nord ho avuto modo di vederlo più volte. Ho partecipato anche alla sua ritualizzazione, avvenuta in un capannone di Brescello di proprietà di Alfonso Diletto. Venne battezzato subito dopo la scarcerazione di Nicolino, nel 2011».

Valerio spiega il motivo: su Mantova c’erano in ballo affari importanti, quindi era necessario avere un punto di riferimento insindacabile, uno la cui autorità venisse riconosciuta. «E poi c’era da fare l’omicidio che c’entrava con un problema su un cantiere». 

Rossella Canadè

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