«A Mantova gli affari della ’ndrangheta»: i giudici confermano la sentenza Pesci

Resta saldo l’impianto dell’accusa contro la cosca di Grande Aracri. Ricalcolate alcune condanne. Assolti i parenti del boss

BRESCIA. Nove ore e mezzo di camera di consiglio per mettere «una pietra miliare nella storia di Mantova». Parola del procuratore generale Carlo Nocerino. Ha voluto essere al fianco dei pm Claudia Moregola e Paolo Savio durante la lettura della sentenza del processo d’Appello Pesci, la sera del 28 marzo. Dopo un’attesa di un’intera giornata che sigilla un’attesa di 4 anni, da quel gennaio 2015 quando scattarono gli arresti. Da allora sconcerto, incredulità, rabbia e tanta, troppa indifferenza.

Nove le condanne. «Ora nessuno potrà più avere dubbi: la cosca qui c’era, ha commesso crimini e ha fatto affari. È un punto di non ritorno». Sono passate le otto da 4 minuti quando il presidente della corte Giulio De Antoni comincia a leggere il dispositivo. La prima parola che pronuncia è «inammissibile» e in aula è il gelo. Un piccolo punto a favore del boss Nicolino Grande Aracri, a cui viene ridotta la pena a 20 anni e 8 mesi sui 28 del primo grado. Una questione di ricalcolo: i giudici per lui come per altri tra i 13 imputati hanno considerato la continuazione di alcuni reati.

Sconto anche per Antonio Rocca, che si vede ridotta la condanna a 17 anni e 8 mesi: confermato il suo ruolo di referente del boss nel Mantovano. Ribadita la condanna per Giuseppe Loprete, il fabbro, “uomo di pace e verità”, con una riduzione di 2 anni sui 19 del primo grado. Aumento di pena per la moglie di Rocca, Deanna Bignardi, a cui i giudici dell’Appello hanno riconosciuto anche il riciclaggio: 5 anni e 4 mesi, oltre alla confisca dei beni per 10mila euro e l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Ma i pm devono incassare il no definitivo alla loro accusa di associazione mafiosa nei confronti della donna.

Stesso no per Gaetano Belfiore, Rosario e Salvatore Grande Aracri, genero, fratello e nipote del boss. Confermate le sentenze di assoluzione del primo grado. «I giudici non hanno ritenuto probanti le dichiarazioni dei pentiti – commenta l’avvocato Andrea Pongiluppi – significa che non si sono fatti fuorviare dal pregiudizio della parentela. Per loro è la fine di un calvario». Sentenza annullata invece per Antonio Bonaccio, uno dei luogotenenti del boss: condannato in primo grado a 10 anni, è stato assolto.

Pena ridotta per Giacomo Marchio, passato dal ruolo di vittima delle estorsioni a quello di imputato. I giudici lo hanno ritenuto non punibile per falsa testimonianza, confermando però l’accusa di favoreggiamento dell’associazione mafiosa. Ridotta di un anno la condanna per i fratelli Silipo: 3 anni. Confermata la condanna per il figlio di Rocca, Salvatore: un anno e 4 mesi.

Sconto pesante di pena per Salvatore Muto, diventato collaboratore di giustizia dopo la condanna in primo grado a 18 anni. Dovrà scontare, in una località protetta e segreta, 8 anni e 6 mesi. Grazie ai suoi racconti, l’impianto dell’accusa si è arricchito di circostanze inedite. «È stato chiarito che a Mantova la cosca ha corrotto il mercato edilizio ed economico sotto le direttive di Grande Aracri – conclude Nocerino – ma non è finita. Questo processo è il primo al Nord dove il boss è stato condannato. Da qui ora andiamo vanti».

Rossella Canadè

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