Gazzetta di Reggio

Gandino, da animatore delle sere reggiane a parroco tormentato nel film “Alice nel buio”

Chiara Cabassa
Gandino, da animatore delle sere reggiane a parroco tormentato nel film “Alice nel buio”

«Io, sul set, nei panni di don Stefano. E dicono che spacco». Giovedì 7 gennaio alle 21 la première al cinema Apollo di Albinea

06 febbraio 2019
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REGGIO EMILIA. «Mi dicono che spacco lo schermo... Sono curioso di vedere se è anche vero». Sì perché Alessandro Gandino, la vera rivelazione del mistery “Alice nel buio” (première domani sera al cinema Apollo di Albinea dopo il grande successo riscosso dall’anteprima al cinema Bismantova), il film non l’ha ancora visto. C’è chi dice “per strizza”, come sostiene il regista Gian Luca Carretti, ma lui nega. «Macché paura – ribatte Gandino, anzi don Stefano, perché ormai la reincarnazione è avvenuta – è che ho avuto altro da fare, ma alla première ci sarò».

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E già, quando si tratta di firmare autografi, le star non possono mancare...

«A parte gli scherzi – e Alessandro fa di tutto per restare serio – io mi sono trovato sul set praticamente per caso. Davanti a un aperitivo, per dovere di cronaca va detto che non avevamo ancora consumato, Silvia Piccinini che è una mia amica oltre ad essere una bravissima attrice, mi ha parlato del progetto di “Alice nel buio” e del fatto che il regista cercava qualcuno facesse la parte del padre della ragazza scomparsa. Poi mi sono ritrovato nei panni di un prete, ma questa è tutta un’altra storia».

Da dj e animatore delle sere reggiane a parroco di montagna alla ricerca di una ragazza scomparsa. Il passo non è dei più scontati.

«Assolutamente. Però devo dire che tutti, a partire dal regista, sono stati molto comprensivi e pazienti. Gli “addetti ai lavori” dicono che ho la faccia che spacca, la voce giusta, la gestualità misurata. In realtà a fregarmi è l’accento. Ma il problema è stato superato... tagliando qualche battuta e facendomi parlare il meno possibile. Anche perché ricordare le battute sembra facile ma non lo è affatto».

Ironia a parte, pare che la parte di don Stefano le calzi a pennello.

«Fin troppo. Mi ricordo il primo ciak, era il 2 novembre del 2017. Siamo saliti in montagna, e dovevamo girare una scena nella chiesetta che in teoria doveva essere vuota. Ma, essendo il giorno dei morti, qualcuno in giro c’era. E un ragazzo mi si è avvicinato chiedendomi se potevo confessarlo. La mia reazione non poteva essere peggiore. Non gli ho detto no, ma gliel’ho proprio urlato. Nooooooo! Non so neppure io perché, mi sono trovato spiazzato. Lui poveretto se n’è andato e tutta la notte ho rimuginato nella mia testa che forse voleva solo una parola di conforto. E se si fosse buttato dalla Pietra dopo il mio no? I giorni successivi ho sfogliato impaurito la Gazzetta, lo ammetto».

Ma in famiglia com’è stata presa questa sua “svolta professionale”?

«Mio figlio mi ha chiesto un po’ preoccupato se doveva dirlo ai suoi amici. Io gli ho detto che se fossi finito in galera, poteva raccontare che ero partito per un lungo viaggio. Ma in questo caso, gli toccava dire la verità».

Quale sarà il suo prossimo film?

«Non scherziamo, questo forse sarà il primo e l’ultimo. Però, se dovessi mai bissare, ammetto che mi piacerebbe almeno avere una pistola in mano... insomma un film d’azione lo sento più nelle mie corde. I miei registi di riferimento? I fratelli Cohen e Tarantino».