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Migranti, la sicurezza che fa male ai buoni

CARTA BIANCA

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Potremmo chiamarlo l’altro effetto Salvini. In riferimento non al raddoppio dei consensi elettorali della Lega ma alla moltiplicazione tra giugno 2018 a gennaio 2019 degli stranieri irregolari in Italia. Sono circa 45 mila le persone che in questi sette mesi hanno ottenuto un diniego alla loro richiesta d’asilo. I rimpatri sono stati meno di 5mila. Circa 40 mila migranti sono quindi entrati in una condizione di illegalità. Con buona pace dell’enfasi sulla sicurezza. Sono dati diffusi non da una pericolosa ONG ma dal compassato e autorevole Istituto per gli studi di politica internazionale. Ma c’è di più. L’eliminazione di fatto del permesso umanitario (uno dei tre livelli di protezione internazionale garantiti dall’Italia) chiuderà la speranza di residenza legale in Italia a molti di coloro che sono da quasi due anni in attesa di una decisione delle commissioni prefettizie come a larga parte degli attuali titolari di un permesso non più rinnovabile alla scadenza. Sempre l’Ispi valuta in circa 140mila il numero di nuovi irregolari nel nostro paese tra oggi e il 2020. E questo ammesso che perduri il sostanziale calo degli arrivi iniziato nel 2017. Se poi assumiamo l’attuale percentuale di rimpatri, paradossalmente diminuita con il governo Conte, sarebbero necessari una ventina di anni per riportare tutti a “casa loro”. Difficile misurare uno scarto più alto tra autoesaltazione del ministro della Nutella e la realtà. Ma è difficile anche non soffermarci, per l’ennesima volta, sull’ assoluta confusione prodotta da una pessima e tutta emergenziale gestione dell’accoglienza. A cui Salvini ha solo dato un definitivo colpo di grazia. E che forse bisognerebbe ripensare fuori dalle logiche del consenso contingente. A partire dalla consapevolezza che non stiamo parlando dei circa 5 milioni di cittadini stranieri regolari, di cui più della metà di origine europea, ma dei 600 mila richiedenti protezione internazionale e provenienti in larga parte dall’Africa tra il 2014 e il 2017. La cosidetta “invasione”. Molti di questi, prima che l’Europa cominciasse a blindare i confini nel 2016, hanno lasciato velocemente l’Italia. Oggi, sono più o meno 100mila in attesa di conoscere il loro destino. Poco superiori ai 2mila a Genova e a 5mila in tutta la Liguria. Accolti in strutture fortemente differenziate tra loro. Molte, la gran parte, impegnate in tentativi reali di integrazione, alcune interessate solo al profitto. Singolarmente grazie ai gialloverdi (neri) saranno le seconde quelle che verranno garantite nel prossimo periodo. La riduzione dei finanziamenti prevista dal governo senza alcuna differenziazione in base ai risultati e ai percorsi di inclusione favorirà chi gestisce veri e propri parcheggi di uomini in strutture giganti. Con l’esclusione degli SPRAR che raccolgono però una piccola percentuale dei migranti, sparirà l’accoglienza diffusa e il sostegno di operatori e mediatori. Con conseguenze ulteriormente peggiorative per chi è già in profondo disagio per la lunga attesa della sua domanda e un’esistenza segnata dal tempo vuoto. Ci saranno più e non meno persone allo sbando. E coloro che pagheranno per primi saranno proprio i Prince Jerry cioè i migliori, i più interessati a perseguire l’integrazione. Quelli che per capacità, competenza, indole hanno cercato davvero di costruire legalmente il loro futuro. Chi godendo di un permesso umanitario ha trovato lavoro, anche se spesso sottopagato, imparato l’italiano, cominciato, appunto a guardare con fiducia al domani. È questa la vera follia di provvedimenti generalizzati, del tutto indifferenti verso le singole persone e il loro rapporto con la nostra città e il nostro paese. E saranno i peggiori, i più contigui alla criminalità, ad essere indirettamente confermati nella loro scelta di illegalità. Avremo, per un puro accanimento ideologico, solo strade e quartieri più pericolosi. Ma anche la vergogna civile di non aver permesso, a chi ha davvero tentato di farlo, di migliorare la sua vita. Forse sarebbe giusto cominciare a raccogliere le storie di questi ragazzi. Conservarle a futura memoria. Rileggerle quando lo stordimento xenofobo di tanti italiani sarà passato. Per accorgersi come ad errori si sono aggiunti errori. Nella superficialità e nell’indifferenza. In una logica che appare punitiva nei confronti degli stranieri ma che in realtà lo è anche con noi. Anche per questo nella rottura del silenzio di larghe parti della società civile davanti allo lo strazio legislativo delle norme pentaleghiste sarebbe forse importante cominciare a ricostruire una nuova politica dell’accoglienza e dell’integrazione. Fatta di corridoi umanitari ma anche della separazione dei flussi tra richiedenti asilo e migranti economici, riaprendo gli accessi legali anche per i secondi, nei numeri e nei modi che bisognerà individuare. Ma avendo il coraggio di cominciare a dirlo. Di richiedere trasparenza nel processo migratorio. E, al tempo stesso, di contribuire a trovare una diversa soluzione per chi rischia di passare dal limbo al nulla sociale. Sapendo che i costi umani e civili del cacciare tante persone nella clandestinità sono davvero troppo elevati per tutti. Per loro come per noi.