Genova

Il riscatto grazie a trenta associazioni

Non è un ritorno ai comitati ma un impegno civico spontaneo

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"Prendersi cura dei nostri quartieri" è il titolo della "carta comune" firmata da oltre trenta associazioni di Oregina e del Lagaccio. Quella "periferia del centro", isolata dalla ferrovia e costruita sulla collina negli anni cinquanta e sessanta. La risposta di una "cattiva edilizia" al bisogno di casa degli immigrati che arrivavano a decine di migliaia dalle aree povere del Paese. Una inarrestabile colata di cemento che ha occupato ogni spazio libero e annegato nel moltiplicarsi degli edifici anonimi i nuclei urbani novecenteschi come le antiche creuze e gli orti. La "carta" funziona come manifesto di un agire comune. Con poca retorica e molti valori. A partire dall’assunzione di una più ampia responsabilità dal basso verso territorio. Il "mettersi insieme" di soggetti già costituiti in rete prefigura di fatto una nuova possibile forma di rappresentanza dei quartieri fondata sulle buone pratiche e la cittadinanza attiva.
Una cosa importante e nuova.
Destinata in prospettiva a produrre non solo una sostanziale innovazione delle relazioni istituzionali ma anche a riempire quel vuoto di azione collettiva che è stato uno dei tanti effetti della scomparsa dei partiti nella vita dei quartieri. Non siamo però davanti a un nuovo capitolo della stagione dei comitati.
È proprio altro. Alle spalle ci sono anni di impegno civile, di cura e attenzione ai beni comuni, di volontariato, di supplenza all’incuria pubblica.
C’è la legittimità del rimboccarsi le maniche e non solo della denuncia. Vale per la casa di quartiere di Oregina, per gli Amici di Via Napoli, per l’ Associazione Quartiere in piazza che da un decennio gestisce la Piazza dei Popoli, aprendo e chiudendo i cancelli, tenendo pulito ma soprattutto facendola vivere come luogo di socialità aperta e inclusiva, come per la Rete Gavoglio che insieme a Vogliamo la Gavoglio ha costruito il percorso di partecipazione per la riqualificazione della ex caserma e oggi rende fruibili, in attesa dell’inizio dei lavori di recupero, gli edifici di piazza Italia come spazi di comunità. Non in contrapposizione, anzi valorizzando il confronto avuto con le amministrazioni e risultati positivi raggiunti, ma nel voler essere promotori di progetti che migliorino i servizi, la mobilità come l’arredo urbano. E che, soprattutto, ricostruiscano identità e sentimenti di appartenenza, favoriscano la convivenza e relazioni positive tra vecchi e nuovi abitanti. Perché al Lagaccio la presenza di stranieri è, a differenza di Oregina, consistente e pesa comunque ancora il ricordo di quella brutta frattura e la non buona gestione legata alla costruzione della moschea. Il tema di fondo è tentare un salto di qualità, provare a rimettere in circolo idee, passioni, un protagonismo civile capace di contrapporsi all’individualismo egoista, alle sole culture del consumo, alle solitudini.

E qui c’è il filo di continuità con una tradizione di solidarietà di quartiere lunga nel tempo. Laica ma anche religiosa. Quella di Don Acciai, di Don Prospero e oggi di Don Fulli.
Con la parrocchia di NS della Provvidenza che da sempre offre sostegno ai più fragili e accoglie i senzatetto. E la grande scommessa del territorio si incentra comunque intorno alla Gavoglio e al suo prossimo destino. Voci ufficiali non ce ne sono. Il silenzio dura da molti mesi ma pare che a luglio debbano partire i lavori per il parco che coinvolge anche la Valletta Cinque Santi. Pare.
Un primo vero spartiacque rispetto ai processi di cementificazione. L’inizio di una storia nuova nata anch’essa da una mobilitazione di cittadinanza attiva. Con l’idea forte di una città più ecologica. Ecologica per quanto riguarda l’ambiente ma anche l’uso degli spazi pubblici e le relazioni tra le persone.