Genova

La storia

Marco Rodari, un clown sotto le bombe

Marco Rodari, un clown sotto le bombe
Da Gaza alla Siria all'Iraq, fino all'Ucraina, con il suo naso finto e una valigia di magie: "Ho fiducia nella capacità dei bambini di meravigliarsi sempre"
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Di avere un dono l’ha capito a quattordici anni: riusciva a far sorridere gli altri, senza sforzo. L’altra lezione l’ha imparata quando dagli ospedali e dalle zone povere del mondo, con il suo naso da clown e una valigia di magie è arrivato in un Paese in guerra per la prima volta: che è meglio non avere programmi. Perché «i programmi bruciano energie, e non ha senso farne se pensi di andare in un posto ma poi la strada può non esistere più». Ma quello a cui Marco Rodari non si abituerà mai è vedere la meraviglia accadere. Anche tra le macerie di Gaza, con le bombe che cadono. Anche in Ucraina, a Izyum, dove era appena stata scoperta una fossa comune con quattrocentoquaranta cadaveri. Marco era lì, insieme ad altre associazioni umanitarie, a metà settembre. Avevano appena distribuito del cibo, quando ha aperto la sua valigia. «Un piccolo gioco, e nei bambini vedi il delirio della gioia. È una cosa nella quale ho fiducia. Ma fare il clown è fondamentale anche per me: perché non sono solo i bambini ad andarsene con la fantasia, in quel momento. Lo faccio anche io, con loro».

Marco Rodari — Claun Pimpa — oggi alle 16 sarà al Che Stella, il festival di Music for Peace in via Ballayder, fino al 23 dicembre. Marco ha 47 anni, e da quando ne ha diciotto è «una persona a disposizione», come si definisce: insieme a missionari e preti, con associazioni e ong, gira il mondo provando a portare leggerezza dove non ce n’è affatto. Dalle zone di povertà, nel 2009, passa alle aree di guerra. Arriva a Gaza, «e dopo aver vissuto i bombardamenti, è come se mi fossi fermato in questi luoghi». È qui che incontra i volontari di Music for Peace. Con la sua valigia e il suo naso rosso andrà in Siria, in Iraq. Nei mesi scorsi, in Ucraina.

«Era doveroso provarci — racconta — c’erano villaggi isolati da mesi. Portavamo cibo. E quando posso tiro fuori dalla mia valigia. Ma se è impossibile, basta un sassolino: farlo sparire e riapparire. Sono questi gli obiettivi del clown: regalare un momento di meraviglia, se si può un sorriso. Insegnare un piccolo gioco ai bambini in modo che diventino portatori sani di pace. E far nascere gruppi di clown sul posto. Oggi a Leopoli ce ne sono tre».

Uno dei momenti che gli sono rimasti impressi è stato a Gaza, nel 2014. Le bombe cadevano in continuazione, anche la parrocchia era distrutta. «Ricordo di essere andato in ospedale. Finalmente vedo arrivare una bambina con le braccia e le gambe, a differenza degli altri. Aveva una ferita all’addome, l’hanno operata, stava meglio. Ma non parlava più. Però, quando nella stanza sono entrato io, vestito da pagliaccio, ha ricominciato a parlare. Una cosa che non ho mai dimenticato». Ma come ci si può proteggere dall’orrore? «È impossibile. Devi avere dei tempi in cui non ci pensi, provare ad astrarti». A Marco non piace che gli si dica che è coraggioso. «Non c’è niente di straordinario nel fatto che un uomo viva in guerra. Lo fa un bambino su cinque, sul pianeta. Ecco: io ho meno coraggio di loro. Perché poi, io, me posso andare».