Attacco a Don Giusto: la lettera del parroco a Forza Nuova e la risposta dei militanti

Il parroco: "Grazie per avermi ricordato i miei obiettivi".

Attacco a Don Giusto: la lettera del parroco a Forza Nuova e la risposta dei militanti
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Continua la querelle dopo l'attacco a Don Giusto da parte di Forza Nuova Lario, che ha affisso un cartellone all'oratorio di Rebbio con la scritta: "Don Giusto di occupi di chiesa e non di politica". Dopo le parole di solidarietà al parroco arrivate da diversi soggetti, è lui stesso a rispondere ai forzanovisti con una lettera pubblicata su Il Settimanale della Diocesi di Como.

Attacco a Don Giusto: la lettera a Forza Nuova

"Cari signori di Forza nuova, perlomeno così vi siete designati, mi sarebbe piaciuto veniste a parlare a casa mia con tutta calma, in pieno giorno, anziché affiggere nottetempo un vostro cartello sulla recinzione dell’oratorio di Rebbio. Comunque, il vostro scritto notturno mi ha dato una nuova forza in due direzioni:
– innanzitutto a lottare contro il male che c’è in me – mi avete chiamato “ingiusto” – e ne sono cosciente;
– in secondo luogo mi sento onorato se voi avete identificato in me una persona della Chiesa di Como che fa politica; vi ringrazio. La Chiesa fa politica, ha a cuore la “polis” ed i più fragili della polis. Il Regno di Dio, il cui annuncio è al cuore della vita del nostro fondatore, è Regno di Pace e di Giustizia e beati sono coloro che iniziano a costruirlo su questa terra.
Grazie quindi per avermi ricordato e confermato in questi due obiettivi su cui continuo a lavorare insieme a tantissime persone di Como".

La risposta dei militanti

La risposta da parte dei militanti di Forza Nuova non si è fatta attendere. Ecco quindi la replica degli esponenti di estrema destra di Como.

"Sa qual è il problema, caro don Giusto? Lei parla di una certa politica, secondo noi evidentemente contraria agli interessi di quella Polis i cui cittadini - quelli che la Polis hanno ereditato dai loro padri, quelli che la considerano Patria - andrebbero difesi, evitando di farli invadere da altre popolazioni che la stessa Polis, con la sua religione e i suoi costumi, non comprendono e non conoscono, spesso dimostrando di disprezzarne usi, costumi e tradizione.

Questa certa politica non appartiene alla Chiesa, che per altro è essenzialmente Corpo mistico di Gesù Cristo, ma è di alcuni (molti) uomini della Chiesa attuale, non tutti grazie a Dio, non molti vescovi africani ad esempio.
Sono questi molti uomini (lei?), non la Chiesa, che ormai praticano l’idolatria del cosiddetto migrante.
Questa modernissima idolatria ha una sua particolare “teologia” (ma sarebbe più corretto chiamarla antropologia perché sull’antropocentrismo è fondata) che parla la stessa lingua della filantropia massonica, di Emma Bonino e George Soros; non insegna i valori cristiani nelle scuole, non si indigna per leggi e idee anticristiane, ma, anzi, promuove queste idee e queste leggi e le condivide con i nemici della Chiesa.

Da troppi pulpiti - e questa è cattiva politica, per non dire dell’assenza di cura delle anime al fine della loro salvezza, primo scopo della Chiesa - nessuno parla di “misericordia” e di “accoglienza” per gli italiani spesso disperati, ma li esorta ad accogliere quei “migranti” che, continuando in questo modo, cancelleranno la Polis così come tutti noi l’abbiamo conosciuta. Questo è il regno di cui parla? Questo il fine della sua azione politica?
Pensi alla Chiesa, non agli uomini che oggi la governano, che deve fare sì “politica”, ma nell’interesse della salvezza delle anime, non dell’accoglienza di popolazioni afroasiatiche che ci toccherebbe mantenere, quando neanche del nostro prossimo spesso riusciamo ad occuparci come vorremmo.

Il nostro prossimo (“Il prossimo, invece l'abbiamo vicino…” dice Sant’Agostino) quello che la sorte ci ha assegnato, a lui va indirizzata la buona politica, non a chi arriva da chissà dove per volontà di organizzazioni criminali - e non perché naturalmente “migrante” quasi fosse un uccello migratore - e a cui sarebbe molto più caritatevole assicurare “il diritto a non emigrare”.

Grazie a lei, quindi, per averci dato modo di definire meglio la natura del nostro messaggio. Il confronto pubblico, se crede, si può sempre organizzare, lei con la sua mise da prete operaio sessantottino - noi come accompagnatori di un nostro amico sacerdote in abito talare - aperto al pubblico più ampio possibile".

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