Bosnia, i nazionalisti: «Abbiamo vinto noi»

Lunedì 8 Ottobre 2018
LA SFIDA
Come nei peggiori incubi. I candidati nazionalisti alla presidenza tri-partita della Bosnia Erzegovina, il serbo Milorad Dodik e il croato Dragan Covic, si dichiarano vittoriosi nelle elezioni di ieri in Bosnia per il rinnovo del direttorio che guida il Paese. Incerto il risultato del voto musulmano tra il nazionalista Sefik Dzaferovic e il moderato Denis Becirovic. Contrariamente a quanto previsto, l'affluenza, che alle 15 era del 37.2 per cento, è poi salita in chiusura fino al 53.26, come nelle ultime consultazioni. Questo nonostante il diffuso scoramento e la disaffezione dei bosniaci di ogni etnia verso l'elezione di una presidenza che non potrà mai funzionare, bloccata dal contrasto e dalle spinte scissioniste di Dodik da un lato, e Covic dall'altro. Proprio come nel 1990, quando si bloccò la presidenza jugoslava composta dai rappresentanti delle diverse Repubbliche e l'esito fu una guerra di dieci anni con oltre 100mila morti e milioni di sfollati. Altra conseguenza, la drastica separazione fra l'entità serba cristiano-ortodossa, la Republika Srpska (con l'81.5 per cento di abitanti di etnia serba), e un'altra croato-musulmana in cui però l'entità croata cattolica dell'Erzegovina (il 22.4 per cento della popolazione della Bosnia croato-musulmana) aspira a essere annessa dalla Croazia con capitale Zagabria. Nel mezzo i musulmani, anche loro tentati e attraversati da suggestioni nazionaliste e religiose. Il risultato è comunque un allontanamento dall'obiettivo dell'integrazione nell'Unione Europea e una crescente influenza, irradiata da Belgrado su tutti i territori abitati da serbi ortodossi, della Russia di Putin pubblico sponsor del nazionalista Dodik. Il tutto sullo sfondo di un paese che non ha metabolizzato l'efferatezza dei massacri della guerra del 92-95, retaggi a loro volta degli odi e delle stragi delle guerre balcaniche di inizio 900 e di quelle della Seconda guerra mondiale che videro contrapporsi cetnici e ustascia (estremisti serbi e croati).
LE NUOVE LEGGI
In quattro anni, del resto, il Parlamento bosniaco è riuscito ad approvare soltanto 20 nuove leggi, incompleta pure l'agenda delle riforme (alcune sollecitate da Strasburgo e Bruxelles per allineare la Bosnia agli standard europei di rispetto dei diritti fondamentali e delle norme comunitarie prima di iniziare il percorso verso l'adesione). Due numeri illustrano bene la disperazione dei bosniaci: 170mila quelli (per lo più giovani) che hanno lasciato il paese per l'estero da dove non torneranno, e un disoccupato su cinque. Dodik, che presiede la Republika Serpska, per gli exit poll del suo partito (l'Alleanza dei socialdemocratici indipendenti o Snsd) avrebbe ottenuto il 58 per cento dei voti nella corsa al seggio serbo della presidenza tricefala di Sarajevo. L'avversario interno, il moderato e filo-europeo Mladen Ivanic che aveva lanciato l'allarme sul separatismo sciovinista e filo-russo di Dodik, si sarebbe fermato al 40 per cento. Sul fronte opposto, croato, l'Hdz (Unione democratica croata) ha impalmato il proprio candidato, Covic. Non ce ne sarebbe quindi per il suo antagonista, Zeljko Komsic, che poteva contare sull'appoggio di ambienti musulmani interessati a preservare una leadership centralista e moderata nel direttorio.
I MUSULMANI
Quanto ai musulmani, stando ai primi risultati elettorali, il voto sembra premiare i nazionalisti e castigare i moderati in tutte e tre le entità. Dodik da parte sua prevedeva «una grande vittoria» nell'interesse dei serbi e nelle ultime fasi della campagna elettorale aveva caldeggiato più autonomia ed eventualmente la separazione dei serbi dalla Bosnia. Una disgregazione che accrescerebbe il peso della Russia nel cuore dei Balcani, e renderebbe sempre più remota la possibilità dell'adesione in pochi anni della Bosnia alla Ue. La frantumazione del panorama politico resuscita poi i timori di una più tormentata gestione dei flussi migratori lungo la rotta balcanica, per il momento sterilizzata dall'accordo con la Turchia. Ma che sempre incombe e coinvolge la Bosnia come Paese di passaggio verso la Croazia, anticamera della Ue.
Marco Ventura
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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