IL RETROSCENA
ROMA Matteo Renzi non cambia linea. Nel giorno della marcia antifascista

Domenica 11 Febbraio 2018
IL RETROSCENA
ROMA Matteo Renzi non cambia linea. Nel giorno della marcia antifascista di Macerata, con il Pd grande assente, il segretario dem sceglie ancora di volare basso. Di non lanciare allarmi o anatemi. E chiede, come fa dagli spari del fascioleghista Traini contro sei migranti e la sede del Pd maceratese, di tenere «i fatti di cronaca» fuori dalla battaglia politica: «I responsabili si facciano fino all'ultimo giorno di galera, ma dico no alle strumentalizzazioni. L'Italia ha bisogno di tranquillità».
Un silenzio che comincia a essere assordante anche per i suoi colonnelli. Venerdì, dopo Andrea Orlando e Graziano Delrio, anche Paolo Gentiloni è andato giù duro inquadrando nel mirino Matteo Salvini: «La giustificazione del fascismo è fuori dalla Costituzione. Non consentiremo a nessuno di giustificare comportamenti criminali».
IL LIMITE
E, con molti commentatori impegnati a stigmatizzare la timidezza di Renzi - i suoi appelli ad «abbassare i toni», a «mantenere la calma» per evitare di schierarsi su un terreno insidioso data l'avversione dell'opinione pubblica verso i migranti - si fa sentire pure Marco Minniti: «C'è un limite oltre il quale non si può andare in una democrazia e non consentiremo a nessuno di superare questo limite. A Macerata c'è stata una rappresaglia ingiustificabile, un atto criminale di un criminale». «Unico punto in comune tra le vittime di questa rappresaglia», aggiunge il ministro dell'Interno, «è il colore della pelle e questo è odio razziale. In Italia non c'è posto per l'odio razziale, il fascismo in Italia è morto per sempre».
LEADER IN DIFESA
Nel Pd il disagio è palpabile. E' dimostrato dal tweet puntuto del presidente Matteo Orfini: «Un fascista ha sparato alla sede del Pd. Per i commentatori di sinistra il problema è il Pd. Applausi». E' confermato dalle giustificazioni del vicesegretario Maurizio Martina: «Sono sorprendenti le polemiche contro di noi. A Macerata è andato Minniti, poi Orlando e io sono stato dal sindaco Carancini e nella nostra sede attaccata dal killer fascista. Poi abbiamo accolto l'invito del sindaco a non caricare di ulteriori tensioni quella comunità sconvolta. Se non l'avessimo fatto ci avrebbero accusato di andare da soli, magari per fini elettorali».
Renzi sembra ancora in difesa, prudente, impegnato a dare «tranquillità» al Paese, con slogan quali: «Con noi votate una squadra, questa sfida non si regge su di me, le sfide personali abbiamo visto che non funzionano». Parole dure invece contro Matteo Salvini che «specula sulla paura». Mostrando una foto del 2001 in cui il segretario leghista è immortalato con la comunità musulmana di Milano, il leader dem aggiunge: «Quello che promette adesso di chiudere i centri islamici qualche anno fa ci andava a chiedere voti». Ce n'è anche per Silvio Berlusconi: «Dice di voler mandare a casa i migranti, ma nel 2011 a Tunisi prometteva lavoro, casa e accoglienza ai tunisini che volevano venire in Italia». E tira fuori dal cassetto un video d'epoca del Cavaliere.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci