Il «fantastico team» americano – come l’ha etichettato Donald Trump su Twitter – è giunto a Pechino. Scopo del viaggio: trovare un accordo, o quanto meno una roadmap capace di portare a una soluzione alla paventata «guerra dei dazi» tra i due paesi. Dopo la missione americana dei funzionari cinesi, si arriva al dunque a Pechino, benché sia improbabile si sancisca un punto comune fin da subito.

L’IMPRESSIONE è che sarà un confronto alla ricerca del compromesso possibile da entrambe le parti: gli Usa non mollano sulla necessità di diminuire il proprio deficit commerciale con Pechino; la Cina vuole ridurre al massimo i contraccolpi americani sul suo maestoso piano di riconversione industriale «Made in China 2025».

Nella caoticità della presidenza Trump – che ancora ieri ha detto di non vedere l’ora di incontrare di nuovo il presidente Xi Jinping, scatenando supposizioni sulla location, che a questo punto potrebbe essere proprio la Cina, del probabile summit tra Trump, Xi e Kim Jong-un – bisogna riconoscere che sulla questione dei dazi Washington ha saputo scegliere un obiettivo sensibile per la Cina. Se infatti Pechino ha puntato a una risposta politica, andando a bastonare l’elettorato di Trump con lo stop eventuale alle importazioni di carne di maiale e di soia, «The Donald», zitto zitto, ha puntato dove la Cina sta investendo di più: il programma «Made in China 2025» non è altro che il punto avanzato della trasformazione cinese, focalizzata su nuove tecnologie, intelligenza artificiale, produzione di semiconduttori.

C’È ANCHE IL 5G, ad esempio; ancora prima dei paventati dazi (se ne parlerà in ogni caso, accordo o meno, solo a fine maggio) Washington ha deciso di colpire il colosso di Tlc cinese Zte (un competitor interno della Huawei, per capirci) impegnata proprio nei sistemi 5G come aziende americane.

Colpire la Zte è un messaggio chiaro come gli eventuali dazi: gli Usa temono un rafforzamento eccessivo della Cina nel campo delle nuove tecnologie, sporcato, secondo gli Usa, dal furto di proprietà intellettuale dei cinesi, che sarebbe stato dimostrato dalle inchieste che avrebbero spinto Trump a ingaggiare questo duello commerciale.
Da ieri si sono dunque aperte a Pechino le discussioni, guidate dal segretario al Tesoro statunitense, Steven Mnuchin, e dal vicepremier cinese, Liu He.

GLI ARGOMENTI SONO TANTI: secondo i media statunitensi, un pacchetto di misure nel breve periodo da parte del governo di Pechino potrebbe convincere l’amministrazione Trump a rinviare l’imposizione di dazi su prodotti cinesi per un valore di 50 miliardi. Al di là delle prese di posizione molto dure da parte della stampa cinese contro l’amministrazione Trump, in realtà Pechino sembra come al solito disposta ad arrivare un compromesso.

ANCHE LA PAVENTATA GUERRA commerciale non può diventare un eccessivo pretesto per creare instabilità; la Cina ha bisogno di concentrarsi sulla Nuova via della Seta e vede probabilmente sia la questione nordcoreana, sia quella dei dazi come due fastidi da risolvere prima possibile. Naturalmente non si possono sottovalutare alcune distanze: la priorità della Cina, – secondo il quotidiano nazionalista Global Times, ad esempio, sarebbe di spingere Washington a un ripensamento sul tema della proprietà intellettuale, e dell’abuso che ne farebbe il governo cinese.