«È la manifestazione più grande degli ultimi anni», dice il presidente dell’Anpi di Roma, Fabrizio De Sanctis, dal palco sistemato come da tradizione ai piedi della piramide Cestia, a pochi metri da porta San Polo dove il 10 settembre 1943 cominciò la Resistenza romana.

Ed è proprio così. Il corteo partito al mattino dal mausoleo delle Fosse Ardeatine si gonfia poco alla volta, attraverso le strade della Garbatella. In testa lo striscione dell’Anpi – scritta rossa su sfondo bianco «I Partigiani» – con l’amplificazione che manda canzoni della Resistenza. Al centro gli studenti, con diversi spezzoni e cori continui. In coda i sindacati Cgil, Cisl, Usb. E lungo tutto il corteo i partiti, riconoscibili dalle bandiere: tutta la sinistra dal Pci al partito comunista a Rifondazione, da Sinistra italiana al partito comunista dei lavoratori a Potere al popolo. Bandiere anche del Pd, di Europa verde, di Democrazia solidale. E poi le rappresentanze dei palestinesi, come sempre numerosa, dei curdi che sono in sciopero della fame a staffetta, del Fronte di liberazione del popolo (Jvp) dello Sri Lanka: «Siamo comunisti e non manchiamo mai al 25 aprile, quest’anno portiamo con noi la tristezza e la preoccupazione dopo gli attentati terroristici, si conferma la regola che l’imperialismo e il nazionalismo nutrono i fondamentalismi», dice Sudath Adikari.

Il percorso del corteo è molto lungo, quando attraversa via Massaia, la circonvallazione Ostiense e via Benzoni alle finestre ci sono sempre tante persone affacciate, soprattutto anziani. Salutano, fanno l’applauso, qualcuno tira fuori un tricolore. Unico problema qualche automobilista bloccato che protesta perché il corteo non smette di sfilare. Una vigile: «In verità non avevamo previsto, e se posso dirlo personalmente mi fa molto piacere, tanta gente». Una pausa e il partigiano Angelo Nazio parla al corteo in prossimità del nuovo ponte dedicato a Settimia Spizzichino, la donna ebrea sopravvissuta ad Auschwitz e tornata per raccontare. Sul palco i partigiani sono ogni anno di meno, ci sono Iole Mancini e Mario Fiorentini ma è il primo 25 aprile senza Tina Costa, la staffetta che è stata per tanti anni l’anima dell’Anpi di Roma, instancabile negli incontri con gli studenti, morta un mese fa. Molti manifesti la ricordano, la manifestazione quest’anno è dedicata a lei.

De Sanctis attacca Salvini: «È vergognoso non festeggiare il 25 aprile, molto brutto contrapporlo alla lotta alla mafia». Aggiunge poi che «le politiche contro gli immigrati stanno avvelenando il senso comune». E accusa la Lega di «impedire lo sgombero della sede romana di CasaPound». Applaudono dietro di lui la sindaca di Roma Virginia Raggi e il vice sindaco Luca Bergamo. Per Raggi questo non è un palco facile, ma è qui per la terza volta, non è mai mancata. «Buon 25 aprile – esordisce – siamo qui per celebrare tutte le persone che settant’anni fa decisero di opporsi al fascismo». La prima fila si gira e le dà le spalle, qualcuno fischia, qualcuno le urla contro. «A’ ridicola!». Raggi continua: «C’è chi vorrebbe iniziare a passarci su perché ormai i fatti sono lontani, passati» e arriva un’altra interruzione: «È l’amico tuo Salvini». La sindaca va avanti: «Io dico no, è fondamentale dire che siamo antifascisti». Alla fine arriva l’applauso, la contestazione è meno forte dell’anno scorso anche perché De Sanctis chiede alla folla di essere accogliente.

Chiusura eccezionalmente riservata ad Aldo Tortorella, comandante Alessio della guerra partigiana al nord: «Sono un po’ abusivo qui a Roma, io il partigiano l’ho fatto a Milano, in carcere, a Genova», si schernisce Tortorella che a 93 anni ed è uno degli ultimi grandi dirigenti del Pci in vita. «Questo 25 aprile è diverso – dice – quello che è successo nel governo della Repubblica non è un incidente, non era mai accaduto che metà del governo disertasse le manifestazioni ufficiali. Non è solo la prova di un’ignoranza sesquipedale, ma anche della malafede». Si volge all’indietro, verso il cimitero acattolico: «Siamo a pochi metri dalla tomba di Antonio Gramsci, un uomo malato tenuto in carcere e ucciso dal fascismo, così come sono stati trucidati Matteotti, don Minzoni, il fratelli Rosselli. Comunisti, socialisti, cattolici, liberali, il fascismo li ha uccisi tutti, questo è stato il fascismo». Anche con la coppola partigiana e il fazzoletto al collo, sotto al sole, Tortorella non perde il suo aplomb. «Ho tolto la giacca per il caldo e ho perso il discorso scritto, siete fortunati», dice. Poi chiede un po’ d’acqua, gli passano una bottiglia, lui aspetta un bicchiere che non arriva e allora si scusa: «E che? Facciamo all’antica». Un sorso e va avanti. «Bisogna parlare con i giovani che si dichiarano razzisti, fascisti. Quando facemmo il Fronte della gioventù comunista i ragazzi erano tutti fascisti, a scuola e nella vita avevano conosciuto solo il fascismo. Cominciammo parlando con loro». Chiude citando le parole di Mattarella: «Per il presidente la Resistenza fu il secondo Risorgimento. E va bene. Ma a differenza del Risorgimento la Resistenza non fu solo lotta delle élites, ma delle classi popolari. E non fu lotta esclusivamente per la Libertà, ma per la giustizia sociale».