Ieri jet egiziani hanno bombardato e distrutto un convoglio di 10 veicoli al confine con la Libia. Trasportavano, dice l’esercito del Cairo, armi e munizioni. È in questa fascia di deserto che l’Egitto agisce e si autolegittima all’estero nel ruolo di leader regionale nella lotta al terrorismo.

Ma è il lavoro sotterraneo e meno visibile che fa del Cairo uno degli attori principali della crisi libica. Sostenitore del generale «ribelle» Haftar, al Sisi ha cercato di vestire i panni del mediatore. Per ora senza successo.

Quanto accaduto in questi giorni prova il livello di caos in cui versa la Libia: ieri il ministro degli Esteri di Bengasi – legato ad Haftar – rilasciava un’intervista a Middle East Eye nella quale dava per molto probabile la nascita di un governo di unità nazionale Tripoli-Bengasi entro dicembre.

Peccato che nelle stesse ore gli uomini di Haftar assaltavano la sede del ministero degli interni nel capoluogo della Cirenaia dopo che il vice ministro di Tripoli, Faraj Al Qaim, aveva chiesto al generale di farsi da parte. Una richiesta seguita al tentato omicidio dello stesso Al Qaim, lunedì scorso, attribuito dalla Tripoli di al Sarraj all’esercito di Haftar.