Sulla fragilità umana Biancofango indaga dall’inizio del suo fare teatrale, traendo ispirazione da Pasolini o da Thomas Bernhard per poi distanziarsene e approdare a una scrittura originale, efficace, quotidiana e capace di usare l’attore proprio per quella sua faticosa ricerca di equilibrio tra finzione e realtà.
Romani d’adozione, Francesca Macrì, autrice e regista, e Andrea Trapani, autore e attore, questa volta sembra abbiano voluto esasperare il meccanismo e, complice in scena Aida Talliente, lo hanno portato a un inutile disvelamento.

Presentato in anteprima al Teatro India per il festival Romaeuropa, Io non ho mani che mi accarezzino il viso è una sorta di dialogo tra Giovanna dei Macelli e Woyzeck, personaggi archetipi, rispettivamente, di Brecht e Büchner, all’inizio misurato nel suo tessuto drammaturgico al servizio della fisicità dei due bravi attori, ma poi debordante verso un parossismo che produce un ribasso della tensione. Si perdono i nodi della narrazione e gli effetti luce invadenti non sostengono l’afflato di tristezza che trasuda dal titolo delle fotografie di «pretini» giocosi che già Mario Giacomelli aveva rubato alle poesie di padre David Maria Turoldo. Biancofango dissacratori dell’assenza di mani che intenerisce l’animo?