L’identificazione da parte della polizia britannica dei due presunti avvelenatori russi dell’ex spia Sergey Skripal e di sua figlia Yulia il 4 marzo scorso a Salisbury, apre un nuovo capitolo nel caso che oppone Downing Street al Cremlino. Scotland Yard aveva già fatto filtrare la notizia di essere a conoscenza dei nomi dei due agenti russi autori dell’attentato, ma il governo inglese ha atteso quasi due mesi per renderli noti, lasciando l’impressione di indagini e rivelazioni a orologeria.

THERESA MAY dopo aver ricostruito alla Camera dei Comuni come sarebbero andate le cose, ha subito chiamato Trump per aggiornarlo e proporre altre sanzioni contro Mosca. Intanto in un comunicato congiunto stilato ieri da Usa, Francia, Gran Bretagna e Canada i firmatari si dichiarano «convinti delle conclusioni della Gran Bretagna secondo cui i due sospettati sono ufficiali dell’intelligence militare russa, e che questa operazione sia quasi sicuramente stata approvata ad alto livello governativo». A Mosca, in queste ore, si analizza minuziosamente il dossier presentato da May e se ne sottolineano le incongruenze.

Nel replicare alle nuove accuse il ministero degli esteri russi mette in rilievo la possibilità che le foto dei due presunti agenti possano essere state manipolate e ci si chiede perché la Gran Bretagna non intenda chiedere la loro estrazione.

ALTRE INCONGRUENZE sono messe in rilievo da Novaya Gazeta. In una meticolosa ricostruzione dei movimenti dei due presunti avvelenatori, Yulia Natynina dimostra – cronometro alla mano – l’impossibilità della loro presenza nei luoghi dove sono state scattate le fotografie che li incastrerebbero. Mikhail Bogdanov, veterano dei servizi speciali conferma la scarsa credibilità della ricostruzione britannica: «Se si trattava di un’operazione pianificata dai servizi speciali russi allora perché volare con Aeroflot e soprattutto perché direttamente da Mosca a Londra? E perché apporre nomi russi sui passaporti? Il tutto appare dilettantesco e non somiglia affatto all’azione di un servizio speciale. Ricorda più la trama di spy-story dozzinali».

IL CASO SKRYPAL, nella versione proposta da May, sin dalle prime battute somiglia a un romanzo di Jan Fleming in cui la colpevolezza dei russi è data come inoppugnabile: l’unico movente possibile è la vendetta contro l’ex-spia passata al nemico. Ma troppi pezzi del puzzle non si incastrano. «Noviciok», il gas nervino utilizzato, non è stato prodotto solo in Russia ma in molti altri paesi come ha confermato autorevolmente il presidente della Repubblica Ceca.

IL 12 MARZO SCORSO – solo otto giorni dopo la tragedia di Salisbury – si consumò il suicidio di Nikolay Glushkov, socio in affari di Boris Berezovsky negli anni di Eltsin ed esule, anche lui nel crocevia britannico, dove dal 2004 ad oggi sono morte ben 12 persone legate a oscure vicende finanziarie che collegano Mosca con Londra.

Glushokov, acerrimo nemico di Putin – al punto di dichiarare in un’intervista di «sentirsi in pericolo di vita» – muore in circostanze drammatiche, ma Scotland Yard afferma già il giorno successivo con assoluta certezza, che non ci sarebbe alcun legame tra i due casi.

Tanta celerità mette sul chi vive la procura russa che a sorpresa, quattro giorni dopo apre un’inchiesta sul caso Glushkov, con l’ipotesi di omicidio. E «omicidio» è la stessa ipotesi che a suo tempo nelle stanze del Cremlino fecero sulla morte proprio di Berezovsky nel 2012 a Londra: dinamica e la tecnica del suicidio dell’ex-oligarca non ha mai convinto Mosca. Anzi, Putin rivelò di aver ricevuto due lettere da Berezovky, poco prima della sua morte, in cui gli chiedeva perdono e di poter rientrare in patria. Avrebbe potuto portare con sé dossier sui suoi rapporti con i servizi inglesi? MA LE IPOTESI di cui si parla a Mosca con insistenza sono anche altre. Christopher Steele, ex agente dei servizi Usa, il compilatore del dossier sul linkage tra Trump e i russi, dal 2003 in avanti fu spesso in Russia mantenendo i contatti proprio con Skripal. Quest’ultimo, secondo un’inchiesta dell’Australian, avrebbe aiutato proprio recentemente Steele a raccogliere i materiali per incastrare l’inquilino della Casa Bianca. Ipotesi che se confermata porterebbero le indagini oltre oceano. Ma forse, si sussurra a Mosca, nessuno è interessato a scoprire un vaso di Pandora che porterebbe molto lontano.