Stanno per concludersi le consultazioni elettorali più lunghe e “partecipate” del pianeta: iniziate un mese fa esatto, 11 aprile, l’ultima tornata si inaugura domani fino il 19 maggio, il 23 avrà inizio la conta dei voti, dopo ben sette fasi in più tornate successive perché tutte le 543 circoscrizioni possano votare.

Indubbiamente “grande esercizio di democrazia”, come sono state definite: 830 gli aventi diritto al voto nel 2014; oltre 900 milioni quest’anno…e anche quest’anno funestate dalla raffica di attentati sferrati dai Naxaliti nelle zone centrali dell’India che coincidono con quelle tribali e mirerarie, le loro roccaforti.

E’ successo alla vigilia del primo turno elettorale, il 9 aprile, nel distretto di Dantewada in Chhattisgarh: con il candidato locale del Bharatiya Janata Party ucciso da una mina antiuomo insieme a quattro poliziotti. E di nuovo il 17 aprile: con la funzionaria governativa Samyukta Digal crivellata di colpi con cinque colleghi mentre andava ad allestire un seggio elettorale in località Balandapada, villaggio sperduto nell’Odisha profonda. Ed è successo di nuovo (significativamente) il 1° maggio, a 60 chilometri da Gadchiroli, in Maharashtra, con una serie di mine antiuomo: obiettivo il convoglio su cui viaggiavano 15 poliziotti con l’autista – ennesimo colpo, secondo la logica del cui prodest, in favore del primo ministro Narendra Modi, che sul tema della “sicurezza” si sta impegnando da mesi e più che mai durante questa campagna elettorale.

Con Alpa Shah, antropologa, scrittrice, considerata tra i massimi esperti di questa infinita guerriglia in India nel nome di Mao (e che si trova in questi giorni al Salone del Libro di Torino per il lancio del suo Marcia Notturna, straordinaria etnografia nel cuore di una conflict zone così poco vista fuori dall’India), abbiamo provato a fare il punto su quella che lo Stato Indiano considera da anni la più grande minaccia per il suo ordine interno – e che era sembrata ultimamente in ritirata…

“Infatti, lo è. E questi attentati, oltre a giustificare l’ulteriore stretta repressiva da parte di un governo che da mesi ha criminalizzato ogni forma di dissenso, soprattutto da parte di chi si batte per i più elementari diritti sul fronte del lavoro – oltre ad autorizzare l’invio di chissà quanti altri contingenti nelle zone che i guerriglieri considerano le loro roccaforti – ne sono la prova. E’ inevitabile che con la scusa delle elezioni, si intensifichi la presenza delle forze governative nelle zone considerate sensibili.

E’ altrettanto inevitabile che ciò che resta dell’esercito naxalita si difenda come ha sempre fatto: seminando mine antiuomo lungo i percorsi – e boicottando in tutti i modi ciò che considera un travestimento della democrazia, una farsa.

Ma la prima preoccupazione che dovremmo porci riguarda la cronaca stessa di questi episodi: da tempo chiunque tenti di entrare in queste forbidden zones, può farlo sotto scorta dalle forze governative. Se fino a qualche tempo fa si poteva contare su coraggiosi free lance locali… ora non più, in un modo o nell’altro sono stati zittiti, chi in galera, o morti ammazzati. La considerazione non meno inquietante riguarda le vittime di questi attentati, reclutati tra le popolazioni locali per il fatto di conoscere bene il territorio – il risultato della Green Hunt Operation sferrata in queste aree da un decennio è stata una guerra fratricida, con effetti devastanti in territori fino a qualche tempo fa complessivamente coesi e per molti aspetti sostenibili, sebbene poverissimi.

E dunque: sempre più difficile capire che cosa sta succedendo davvero, in queste zone dell’India ormai completamente militarizzate; e impossibile contare su una qualche forma di obiettività da parte dei media, data la fortissima influenza del settore corporativo sull’informazione.

Sulla base di ciò che ho potuto comprendere, in oltre quattro anni di permanenza in quelle zone, in stretto contatto con la complessità anche umana, emotiva, di questa “guerra armata”, posso solo dire che chi la sta combattendo la considera esattamente in questi termini: una “guerra”, ovviamente “armata”, in difesa di territori e popolazioni in cui il naxalismo si è radicato da tempo come forza in qualche modo di governo, alternativa a quello dello stato; ma non come “terrorismo”, nel senso che gli obiettivi non sono civili ma militari.

Ma l’impressione è che si tratti ormai di una guerra solo in difesa, che solo in minima parte riesce ad esprimersi significativamente su quell’infinito fronte di atrocità che è anche l’India di oggi: l’India dello strombazzato boom economico, con una crescita che viaggia da anni intorno al 7/8%, sostiene questa crescita precisamente sulla crescente disuguaglianza, oltre 100 milioni solo i lavoratori migranti.

Ovvero: non persone, senza alcun diritto, men che meno quello di votare; non assimilabili all’interno di alcun discorso di classe, perché la loro funzione è spingere ancora più in basso i compensi e le tutele delle manovalanze locali, che già sarebbero vergognosi. Forse è su questi fronti di disperante supersfruttamento che il naxalismo potrebbe ritrovare una più incisiva ragione di esistere. Indubbiamente significativa la data di quell’ultimo e più sanguinoso attentato: 1 Maggio, ‘festa’ dei lavoratori. Non per il 93% di lavoratori cosiddetti ‘informali’ dell’India.”

(Alpa Shah sarà alla Libreria Trebisonda di Torino, questa sera, 12 maggio, ore 21, per la presentazione del suo ultimo libro “Marcia Notturna, Nel cuore della guerriglia rivoluzionaria indiana”, Ed Meltemi)