L’undici agosto il Ciad festeggerà il suo 58esimo anniversario dall’indipendenza della Francia. Quella Francia tanto tifata, a metà luglio, quasi per riflesso, durante la finale della Coppa del Mondo. Una volta i padroni erano loro e, in qualche modo, come avviene in tanti stati africani, lo sono ancora nell’anima.

Le cicatrici del colonialismo sono anche queste. Quella Francia che oggi ha messo in mostra la sua multiculturalità esaltando le origini di mamma Africa con 14 giocatori su 24 originari del continente nero.

IN CIAD SI IMPAZZISCE per il calcio e per la fame. Solamente nel mese di maggio, nell’ospedale di Am Timan (nel sudest del paese), sostenuto da Medici Senza Frontiere, sono stati ricoverati 325 bambini gravemente malnutriti, in una struttura che ne potrebbe accoglierne una sessantina.

Questi bambini ci arrivano in condizioni così disperate da dover essere alimentati con una miscela a base di latte, olio, minerali e vitamine. Una bevanda terapeutica che li aiuta a recuperare appetito, un minimo di tono muscolare e capacità cognitive, anche quelle a forte rischio proprio a causa della fame, per colpa della quale il Ciad risulta avere la sesta più grave mortalità infantile con un bimbo su sette che muore prima del suo quinto compleanno.

Oltre al latte terapeutico, le capacità cognitive si recuperano con la stimolazione dei medici, fatta di giochi, quelli più semplici. In generale, da queste parti, il più praticato e apprezzato – anche dai profughi che stazionano lungo il confine col Sudan – è sempre una palla che rotola e presa a calci. In un paese, tuttavia, in cui il calcio, inteso come sport organizzato, non esiste più. E da quasi due anni e mezzo.

L’ORGANO AFRICANO della Fifa, la Caf (Confédération Africaine de Football) ha infatti squalificato sino al 2020 la federcalcio ciadiana, colpevole di aver ritirato, a fine marzo 2016, la propria nazionale dal girone di qualificazione alla Coppa d’Africa di Gabon 2017. Il motivo ufficiale riguardò la mancanza di fondi per organizzare la trasferta a Dar-es-Salam per affrontare la Tanzania.

Un fatto che portò le squadre del girone di qualificazione da quattro a tre, spedì direttamente alla fase finale l’Egitto e tagliò fuori clamorosamente la Nigeria, non più ripescabile in qualità di seconda classificata. Federcalcio nigeriana che si era addirittura proposta di finanziare (senza successo) il viaggio dei ciadiani.

La sanzione della Caf ha visto quindi impossibilitati i Sao (come vengono soprannominati gli atleti nazionali del Ciad) a concorrere anche per le qualificazioni al Mondiale di Russia e alla prossima Coppa d’Africa, che avrà luogo nell’estate 2019 in Camerun. Tradotto, per una selezione (e una nazione) così povera, queste disposizioni hanno significato la «fine del calcio».

Negli ultimi due anni e mezzo, in un luogo in cui il pallone è l’unica distrazione possibile, la nazionale rossogialloblu non ha disputato nemmeno una partita: «Vedere alla tv la finale della Coppa del Mondo non è stato entusiasmante come al solito: non ha fatto altro che ricordarci il fatto che ci sono stati strappati via tutti i nostri sogni. Nostri e di una nazione che si confronta solo con grandi ingiustizie. La squadra si è sciolta, il campionato locale è inesistente ed è stato davvero penalizzante per noi, giocatori locali, non poter più disputare un match internazionale», ci racconta Beadoum Mondé, laterale mancino classe 1995 del Gazelle Fc di N’Djamena.

La capitale, che giace sul confine sudoccidentale del paese grosso quattro volte l’Italia ed è diviso – senza sbocchi sul mare – tra il deserto del nord e la pianura tropicale del sud, non fa altro che fungere da ponte verso il Camerun, in cui molti ciadiani – non solo calciatori – provano a costruirsi una nuova vita. Ma da cui arrivano anche gli attentati dei jihadisti di Boko Haram.

E SE, COME SPESSO SI DICE, il calcio è lo specchio di un paese, il Ciad non fa eccezione. Qui il football è stato cancellato così come la voglia di protestare. La fame causata dalla terribile siccità, ha tolto ogni velleità di far sentire la propria voce: se, da una parte, l’attaccante Mahamat Labbo aveva urlato ai quattro venti le sue accuse alla federcalcio ciadiana, colpevole, a suo dire «di ruberia, di essersi intascati i soldi dei contributi di Fifa per organizzare l’attività della nazionale», segnalazioni del medesimo lignaggio erano piombate su colui che – dal 1990 – è il capo del governo di N’Djamena, l’accentratore Idriss Déby.

Figura piuttosto controversa, che – dopo le recenti scoperte di giacimenti petroliferi nel sud del Paese – si era opposto nel 2006 alla compagnia malese Petronas, accusandola di versare all’erario ciadiano somme di denaro inique, lasciando solamente le briciole. Ma che, d’altro canto, è stato a sua volta additato dall’opinione pubblica per il sospetto di aver utilizzato il denaro delle royalties per finanziare le sue campagne elettorali.

Accuse spinte, all’epoca, persino su twitter con l’hashtag #ACauseDuPetrol. L’ennesima carestia, tuttavia, ha soffocato ogni urlo di protesta e nemmeno con un pallone fatto di stracci ci si distrae più.