Se il processo di pace tra il governo colombiano e le Farc non è mai stato una passeggiata, il momento attuale, a meno di due settimane dalle elezioni presidenziali, è probabilmente il più critico dalla firma degli accordi nel novembre del 2016. Come se non bastassero le inadempienze del governo (oltre l’80% del trattato è rimasto sulla carta) e i ricorrenti omicidi degli ex combattenti – a rendere ancora più turbolente le acque del processo di pace è sopraggiunto il caso di Jesús Santrich, uno dei più importanti leader delle Farc, arrestato il 9 aprile scorso dopo un mandato di cattura internazionale emesso dagli Stati Uniti.

ACCUSATO di aver partecipato, a partire dal luglio 2017, a un’operazione diretta a introdurre in Nordamerica 10 tonnellate di cocaina, Santrich ha subito iniziato uno sciopero della fame, parlando di una montatura e assicurando che, «con assoluta certezza», non si lascerà estradare, deciso a combattere la sua «ultima battaglia» nel suo Paese: «Ho proibito qualunque intervento medico – ha detto il leader non vedente, trasferito giovedì scorso, per ragioni umanitarie, in una sede offerta dalla Conferenza dei vescovi -, affinché sia chiara la mia determinazione alla lotta come pure la mia posizione rispetto al tradimento degli accordi di pace».

Che si tratti di una montatura, ha commentato Victoria Sandino del Consiglio politico nazionale della Farc, la Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común, non può esserci alcun dubbio, considerando che la polizia vigila sugli ex guerriglieri in maniera permanente, che esiste un registro di tutte le persone con cui essi entrano in contatto e che ad accompagnarli ci sono sempre gli agenti dell’Unità nazionale di protezione. E di prove «ridicole» parla il direttore della Commissione colombiana di giuristi Gustavo Gallón, il quale chiede che il processo sia affidato, come previsto dagli accordi, alla Giurisdizione speciale per la pace (Jep), senza intervento di autorità straniere e rispettando il principio della presunzione di innocenza.

NÉ È UN CASO che a finire sotto accusa sia stato proprio Jesús Santrich, il leader che più di tutti si è mobilitato contro la mancata liberazione degli oltre 500 compagni e compagne delle Farc ancora in prigione e che non ha certo risparmiato critiche al processo di pace, considerando, per esempio, un errore la consegna delle armi «prima che gli aspetti centrali dell’accordo si fossero concretizzati» e prevedendo l’avvio di una «ostinata e vendicativa persecuzione giudiziaria».

Tuttavia, malgrado l’assedio a cui sono esposte e l’incapacità di creare un loro spazio politico, come dimostrato dal deludente risultato ottenuto alle elezioni legislative dello scorso marzo, le ex Farc si mantengono salde sulla via della pace: «Abbiamo intrapreso – spiegano alla loro base – un cammino senza ritorno».