La nuova formazione politica, che si è proposta di occupare il vastissimo spazio sgomberato dal Pd alla sua sinistra, si è testé presentata dandosi un nome – “Liberi e Uguali” – e un front man, nella persona di Pietro Grasso.

Riuscirà questo progetto? Vedremo.

Di questi tempi i partiti pare si possano improvvisare anche in pochi mesi. Ma bisogna essere bravi per farlo. Ciò che tuttavia colpisce di più è come da subito l’artiglieria abbia iniziato a tuonare contro Grasso. Che tuonino i cannoni del nemico è comprensibile.

Fa invero un po’ ridere che solo qualche mese fa il Pd si era buttato ai piedi di Grasso scongiurandolo di candidarsi alla presidenza della Regione Siciliana: chissà perché lì andava bene e nelle fila di «Liberi e uguali» sarebbe fuori posto.

Ciò che è nondimeno più inquietante è il fuoco amico, iniziato contestualmente e con fragore.

BASTA FARE UN GIRO tra i social. Sarà Grasso in condizione di guidare la nuova formazione politica? La sua esperienza di magistrato è requisito sufficiente per farne un leader? Non c’era in giro un quarantenne che desse alfine il segno di un cambiamento? E avrà, questo Grasso, forza e capacità per sottrarsi (l’argomento è a dire il vero trasversale) all’influenza di vecchi arnesi della politica come Bersani e il mefistofelico D’Alema? Che dire infine del fatto che Grasso non ha rinunciato alla sua carica di presidente del Senato?

Il fuoco amico, va da sé, è sempre il più scoraggiante. I tempi sono difficili. Il Pd è sequestrato da un delirio suicida di onnipotenza. Il rischio di tornare nelle mani di Berlusconi e dei suoi torvi sodali è altissimo. Il Movimento 5 Stelle svolge un’azione a dir poco distruttiva e non sappiamo se preoccuparci di più per la disinibita incompetenza di Di Maio, o per l’oscura competenza di chi ne tira i fili.

«LIBERI E UGUALI» È una scommessa ed è pure la sola di cui credibilmente disponiamo per le prossime elezioni. Grasso per parte sua ha le carte in regola. È stato un magistrato degnissimo. Ha guidato la procura antimafia. Ha sempre tenuto una postura molto sobria, lungi da furori giustizialisti. Si è messo a riposo prima di candidarsi. È stato un presidente del Senato impeccabile. Personalmente preferirei si dimettesse dalla carica. Ma, a vedere come sono spesso gestiti in questo paese gli incarichi istituzionali (pensiamo allo scempio in corso alla commissione bicamerale sulle banche), l’ostacolo non è insormontabile. Ciò che conta è come Grasso agirà in Senato in ciò che resta della legislatura.

IN PIÙ. DA UNA formazione politica che si chiami «Liberi e Uguali» e voglia recuperare la tradizione, rigettata dall’attuale Pd, della sinistra italiana e dell’accordo costituente, una cosa da aspettarsi è appunto il superamento della leadership personale. Colpisce invece che in molti a sinistra siano anche loro prigionieri del paradigma personalistico.

Quando la partita con Renzi è da giocare non opponendogli un leader antagonista, ma rifiutando il suo modello di leadership e adottando il metodo del lavoro collegiale. Una cosa è indicare una figura che dia il senso di ciò che la nuova formazione vuol essere, un’altra è scegliere un capo cui sottomettersi. Il mito del leader è un pessimo vizio da cui liberarsi.

C’È DA AUGURARSI piuttosto una larga mobilitazione di energie, volta a elaborare e sostenere un ambizioso progetto di cambiamento. Serve un programma, che al momento non c’è, e servono poche e chiare proposte che suscitino attenzione e restaurino la fiducia nella politica, oggidì ridotta al lumicino. Contestualmente la partita è da giocare sul piano delle candidature. Per quanto meritino simpatia, non avrebbe senso una lista volta a risarcire le vittime del mobbing politico renziano. Nel futuro parlamento dei nominati, c’è bisogno il più possibile di figure nuove: uomini e donne che si siano segnalati nel governo locale, nell’azione sindacale, nelle professioni, nell’associazionismo democratico. Ci sono, vanno invitati, se possibile elaborando una procedura trasparente e meno maldestra delle cosiddette «parlamentarie» per selezionarle.

IL PARTITO LABURISTA inglese sceglie i candidati alle cariche elettive pubblicando un appello: chi è interessato presenta il suo curriculum. I curricula possono essere pure presentati da altri, ad esempio dalle associazioni. Alla luce dei curricula, un comitato a livello di collegio seleziona un numero ristretto di nomi. Costoro sono convocati e sottoposti a pubblica audizione, onde scegliere il più credibile in ragione sia delle sue esperienze e competenze, sia delle esigenze di rappresentanza del collegio. Non è un brutto metodo.

Nemmeno troppo macchinoso.