«È evidente che c’è un disegno strategico contro di noi e contro il Pd. La vicenda dei sacchetti di plastica è emblematica». C’è un complotto contro il partito di Matteo Renzi se le leggi fatte dal governo del Pd, anche quelle che servono per combattere l’inquinamento, al dunque si rivelano dei clamorosi boomerang. L’affermazione è assai poco credibile, invece suona meglio con l’esempio delle «prove fabbricate» del caso Consip.

Nella direzione-lampo del Pd che approva il regolamento delle candidature, il segretario parla poco più di mezz’ora. Ma fa soprattutto possesso palla. La riunione al terzo piano del Nazareno è affollatissima, «una presenza così ampia dimostra che quando si parla di clima e ambiente la partecipazione è massiccia», sfotticchia i suoi. Con tatto, istruisce la pratica per i molti che a questo giro saranno lasciati a casa: «Seggi sicuri non ce ne sono», avverte, «tutto è molto contendibile. Il posto sicuro in questo caso ce l’ha chi sul collegio i voti li trova». Nei sondaggi il segretario Pd vede «i segnali di una ripresa», giura, ma date le premesse – soprattutto dati i sondaggi che circolano – è una frase di circostanza.

MA IL PENSIERO di tutti è alle liste. Renzi annuncia – in realtà si sa già – la candidatura del medico napoletano Paolo Siani (fratello di Giancarlo, il giornalista ucciso dalla camorra) e dell’ex segretaria dello Spi Cgil Carla Cantone, in quota Orlando. Chiede di inserire direttamente nel regolamento la deroga per il presidente Gentiloni, parlamentare di lungo corso, e per i ministri Pd, «è una valutazione politica», spiega, «saranno in campo, pronti a dare una mano candidandosi in un collegio e in più di una circoscrzione proporzionale».

Il travaglio degli altri promessi candidati va avanti. Una nuova riunione di direzione la prossima settimana, probabilmente il 25 gennaio, approverà le liste in blocco. Da oggi la commissione elettorale comincia a lavorare al puzzle, dopo aver sentito le proposte dei segretari regionali. Naturalmente i candidati dovranno essere in ordine con le quote dei contributi al partito, battaglia – ovvia – del tesoriere Francesco Bonifazi.

RENZI SI LASCIA LE MANI libere per tutto. A parte il governo, lascia aperta anche la partita delle deroghe. «Le lascerei a margine», dice, rimandando a una discussione successiva. Che però non ci sarà, visto che la prossima direzione approverà le liste a pacchetto completo. Per i papabili, e per quelli che ci sperano, si tratta di aspettare la lotteria entro il 25.

In mattinata filtra la notizia di un ordine del giorno per impegnare il segretario «a non concedere la deroga a ricandidarsi a coloro che ricoprono attualmente incarichi elettivi o esecutivi in amministrazioni regionali, provinciali e/o in comuni sopra i 15mila abitanti e che hanno superato i quindici anni effettivi in parlamento», come Roberto Giachetti, Beppe Fioroni e Piero Fassino. Ma il testo non arriva in direzione. Le «maglie» si restringono, per evidente mancanza di posti da distribuire, ma «alla fine decide tutto Renzi», è la sintesi della minoranza orlandiana.

A ONOR DEL VERO non si tratta di una prerogativa solo del Pd né solo di Renzi. La direzione approverà con una sorta di voto di fiducia al segretario. Che chiede di rimandare le polemiche interne alla fine dei restanti 46 giorni di campagna elettorale e offre – a parole – qualche garanzia: « Garantirò un riconoscimento non solo simbolico ma anche numerico», «la scorsa volta ci fu un comportamento diverso da quello che propongo oggi, non fu rispettato l’esito delle primarie», dice all’indirizzo di Bersani.

Quanto agli alleati, la coalizione «può far bene». Ieri Fassino ha chiuso l’accordo con Svp. La riunione con i progressisti di Insieme ha prodotto un comunicato che ribadisce collaborazione: smentisce la voce di un ritiro della lista. Venerdì anche questa partita dovrà essere portata a termine. Invece l’incontro con i radicali di +Europa è stata aggiornato a oggi: la vicenda è un osso più duro ma sulla conclusione positiva nessuno ha dubbi.

ALLEANZE SIGNIFICA anche coalizioni in Lombardia e Lazio. Renzi attacca Leu che non si è apparentata a Gori, dimenticando che era stato Gori a abbandonare il tavolo con Mdp: «Quando si vota per le regionali il primo obiettivo è far vincere candidati bravi più che la strategia per il dopo. Gori può vincere ed è un peccato che qualcuno non lo ha voluto ammettere» E conclude: «Aprire una ritorsione sul Lazio sarebbe stato irrispettoso per il Lazio». Non c’è polemica contro il presidente Zingaretti che ha deciso di non allearsi con gli alfaniani di Lorenzin. Una scelta che a Renzi non è piaciuta. Ma «del dopo parliamo dopo», avverte.