I media sudcoreani stanno dispensando ogni tipo di dettaglio sull’incontro nel villaggio sul confine inter-coreano di Panmunjom, simbolo dell’armistizio del 1953, che pose fine alle ostilità della guerra di Corea che vedrà una storica stretta di mano tra Kim Jong-un e Moon Jae-in. Si tratterà di un evento all’interno di un negoziato che potrebbe concludersi con un clamoroso trattato di pace; si tratterebbe del riconoscimento definitivo l’uno dell’altro e un’apertura a successivi passaggi politici – ad esempio a un assetto federale del paese – che potrebbero scuotere l’immagine generale del continente asiatico.

TRA PREPARATIVI, video di simulazione dove vengono immaginati tutti i passi che dovranno compiere i due leader, non mancano polemiche, apparentemente comiche ma in grado di nascondere l’importanza di questo avvenimento. Nel menu preparato per le due delegazioni sono state usate attenzioni del tutto particolari, per sancire anche da un punto di vista gastronomico la ritrovata amicizia. Dalla Svizzera arriverà un piatto che ricorderà a Kim i suoi studi a Berna, da Pyongyan arriverà il suo cuoco personale, esperto di noodles.

MA C’È ANCHE UN MANGO «della discordia»: il ministero degli esteri giapponese ha lamentato che sulla mousse di mango offerta tra i dolci, sarebbe stata messa in evidenza una mappa della penisola coreana dove sono riprodotte le isole Takeshima, da tempo al centro di una disputa territoriale tra i due paesi. Tokyo considera le isole nel mare del Giappone parte del suo territorio e accusa Seul di occuparle illegalmente.
Nel suo piccolo è un segnale: l’incontro e l’eventuale pace ridisegnerà i confini geopolitici dell’area. E questo preoccupa – ovviamente – il Giappone di Shinzo Abe, sempre in prima linea per chiudere più durezza contro Kim.

E NON PUÒ CHE PREOCCUPARE, un minimo, anche Donald Trump. Una ritrovata collaborazione tra Seul e Pyongyang,anche economica oltre che diplomatica, renderebbe del tutto desuete le basi militari americani in Corea. Forse anche per chiarire questi punti, Seul ha fatto sapere che a metà maggio Moon si recherà in visita da Trump, per ultimare i preparativi per un altro incontro che potrebbe essere storico, ovvero quello tra «The Donald» e Kim Jong-un. Al momento non ci sono segnali negativi al riguardo, ma chissà che la velocità di certi processi non mettano in crisi quell’avvicinamento tra Corea del Nord e Usa che proprio Trump ha salutato con successo.

LE PROMESSE DI KIM, infatti, su fine dei test e via libera alla denuclearizzazione non hanno granché convinto gli analisti. A questo proposito basti pensare che come previsto da geologi nord coreani e come confermato da agenzie cinesi, la montagna del «sito nucleare» della Corea del Nord starebbe ormai collassando a causa dei test sotterranei, rendendo il luogo ormai non più utilizzabile.
Questa constatazione getta un’ombra non da poco nelle recenti dichiarazioni di Kim; non a caso, ieri, la delegazione sud coreana ha detto di volere verificare proprio questa «promessa». L’esito della fase diplomatica, infatti, potrebbe essere quella di una Corea del Nord clamorosamente alla pari con le altre potenze del mondo: Kim avrebbe ottenuto quanto tutta la comunità internazionale, escluse Russia e Cina, non volevano.
Un viatico non certo ideale per Trump che aspetta rassicurazioni dal «villaggio della pace» sperando di non avere operato scelte sbagliate. Intanto gira voce che l’ammiraglio Harry Harris, ambasciatore in Australia, sarebbe in procinto di ricoprire la carica di ambasciatore in Corea del Sud. E Harris non può certo considerarsi un amico di Cina e Pyongyang.