Se la corsa di Lula alla presidenza si è definitivamente infranta contro la giustizia golpista – in base a un copione già scritto al momento della farsa giudiziaria allestita dal giudice Sergio Moro – gli occhi del mondo restano comunque puntati sul carcere di Curitiba, dove da più di cinque mesi è rinchiuso il primo prigioniero politico dalla fine della dittatura.

È così che, nel tempo limitatissimo che gli viene concesso per ricevere visite, passano per la sua cella, oltre ad avvocati, familiari, amici e leader religiosi, anche personalità politiche di tutto il mondo: gli ex presidenti di Uruguay e Colombia Pepe Mujica ed Ernesto Samper, l’ex presidente del Parlamento europeo Martin Schultz e giovedì l’ex governatore del Distretto Federale di Città del Messico Cuauhtemoc Cardenas e l’ex presidente del Consiglio italiano Massimo D’Alema.

I due hanno poi preso parte ieri a São Paulo al Seminario internazionale organizzato dalla Perseu Abramo Foundation sul tema «Minacce alla democrazia e all’ordine multipolare», insieme alla presidente del Pt Gleisi Hoffman, all’ex ministro degli Esteri del governo Lula Celso Amorim, agli ex primi ministri spagnolo e francese Zapatero e Villepin e al linguista Noam Chomsky.

«Ho incontrato Lula tante volte nella mia vita ma non avrei mai immaginato di incontrarlo in prigione», ha dichiarato D’Alema dopo la visita svoltasi proprio all’indomani dell’appello che il Nobel argentino Adolfo Pérez Esquivel ha rivolto «al popolo e al governo italiano» (pubblicato ieri su il manifesto) perché si pronunci in difesa di Lula e del diritto del popolo brasiliano «a vivere in democrazia». Eppure, ha proseguito il presidente della fondazione Italianieuropei, in cella Lula non è diverso da come era al Planalto: «Lo stesso spirito, lo stesso coraggio, la stessa visione e stessa volontà di servire il popolo brasiliano».

Malgrado le clamorose ingiustizie sofferte, il «migliore presidente che il Brasile abbia mai avuto» è insomma «un uomo sereno», che «parla molto più della lotta contro la fame nel mondo che non delle sue vicende processuali».

Vicende che – come precisa D’Alema rispondendo alla domanda dei giornalisti sulla ripercussione che la condanna e l’arresto di Lula hanno avuto in Italia e in Europa – non hanno minimamente scalfito il prestigio di cui gode «in tanta parte dell’opinione pubblica».

Anche perché, evidenzia, «moltissimi giuristi europei, esaminando le carte processuali, hanno constatato come la condanna dell’ex presidente sia giunta al termine di un processo in cui non sono stati garantiti i diritti fondamentali dell’imputato né è stata presentata alcuna prova». Cosicché, in questo quadro, il fatto che sia stato condannato a 12 anni di prigione non può che apparire «una mostruosità».

La rinuncia di Lula, tuttavia, non ha il sapore della sconfitta ma solo quello di un momentaneo arretramento. L’ex presidente, afferma D’Alema, «è deciso a fare il possibile affinché vinca le elezioni il candidato del Pt, Fernando Haddad». Che «appena presentato, è già in testa nei sondaggi».

Del resto, nella sua lettera al popolo brasiliano, l’ex presidente era stato chiarissimo: «Se vogliono far tacere la nostra voce e sconfiggere il nostro progetto di Paese si sbagliano di grosso. Siamo già milioni di Lula e, d’ora in avanti, Fernando Haddad sarà lui per milioni di brasiliani». Che è esattamente la strategia del Pt: presentare Haddad – il cui numero resta non a caso il 13, lo stesso dell’ex presidente – come «il candidato di Lula», suo rappresentante, sua voce.