«Marchionne è stata una figura con grandi capacità imprenditoriali e dinamismo nelle sue scelte spesso innovative e intelligenti», «ha creato nuovi posti di lavoro», «ma andrebbe valutato l’impatto di partenza delle sue azioni in termini di sacrifici richiesti agli operai di diverse fabbriche: su questo specifico aspetto, qualche interrogativo resta forse ancora aperto». È parola di monsignor Filippo Santoro, responsabile della Cei, la Conferenza episcopale italiana, per i temi del lavoro. E così a schierarsi fra gli scettici nei confronti dell’operato del manager Marchionne, sebbene con garbo e stile porporato, ieri è arrivato l’arcivescovo di Taranto, spesso in prima fila sulle questioni dell’Ilva.

Non si ferma l’ondata di polemica scatenata sui social e sui media dalla prima del manifesto e da alcuni commenti non agiografici sull’ex ad di Fca, che nel frattempo è ricoverato in una clinica di Zurigo in condizioni che vengono descritte come gravissime.

A rinfocolarla pensa anche il vicepremier Luigi Di Maio. In mattinata, in un punto con i giornalisti al termine dell’incontro con gli ambasciatori dei paesi del G20, attacca: «Con Marchionne non siamo andati d’accordo quasi mai, ma è veramente miserabile attaccare una persona che sta male come fa la sinistra che gli ha fatto fare tutto quello che voleva quando era potente». Poi ripete lo stesso concetto a L’Aria che tira, su La7: «Vedere una certa sinistra che quando era potente gli ha permesso di fare ciò che voleva, mentre adesso che è su un letto di ospedale lo attacca, è veramente miserabile. Bisogna rispettare chi sta male».

Ma è un attacco contro un bersaglio immaginario, inventato per lo storytelling a uso e consumo dei 5 stelle. Lo stesso di Alessandro di Battista: «Su Marchionne non c’è nulla da dire, bisogna solo rispettare questa fase. Trovo oscene sia le beatificazioni sia le critiche di questa falsa sinistra. I suoi esponenti quando Marchionne era al potere hanno fatto i lacchè o sono stati zitti e ora si permettono di essere rivoluzionari del» segue espressione pesante.

Ma con chi ce l’hanno? Il soggetto degli attacchi non assomiglia per niente al Pd, da sempre protagonista di un rapporto di profonda sintonia con Marchionne. A partire dall’amicizia anche personale vantata da Matteo Renzi. Che infatti a sua volta attacca: «Provo disgusto per chi in queste ore ironizza o lo insulta: ha risollevato aziende considerate finite e ha creato lavoro», dichiara, ma nel finale non rinuncia alla stoccata verso i 5 stelle, «perché si crea lavoro assumendosi rischi, non aspettando sussidi». Il soggetto degli attacchi di Di Maio non può essere neanche la Cgil, che in queste ore rispetta un generale silenzio.

In realtà è solo la sinistra fuori dal Pd a ribadire le critiche alla politica aziendale dell’ex ad. Ad esempio il presidente della Toscana Enrico Rossi che domenica, premettendo il rispetto della persona, aveva parlato delle ’ombre’ del personaggio: «La residenza in Svizzera per pagare meno tasse, il Progetto Italia subito negato, il baricentro aziendale che si sposta in Usa, la sede legale di Fca in Olanda e quella fiscale a Londra. Infine, un certo autoritarismo in fabbrica». Parole contestate dalla Confindustria regionale. Ma la scelta di non tacere il proprio giudizio, a prescindere dall’irrinunciabile rispetto umano, è anche di Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil ed ex segretario Pd, oggi parlamentari di Leu: «Marchionne è stato un abilissimo uomo di finanza capace di utilizzare le risorse finanziarie», «Meno brillante è invece il risultato industriale, dove tutti gli obiettivi di produzione e vendita non sono stati raggiunti, e anche di molto». «Aveva ragione a difendere il primato tecnologico del gruppo sull’alimentazione a metano, ma aveva torto quando per dieci anni continuava a dire che il futuro dell’auto non sarebbe stato nell’elettrico». Quanto alle relazioni industriali, il tema «più controverso», «Marchionne nei primi anni cerca l’accordo e il consenso dei lavoratori e dei sindacati» poi fa «l’errore di andare allo scontro» con Cgil e Fiom. Anche Stefano Fassina, altro deputato di Leu, è duro: «È stato manager straordinario ma ha trattato i lavoratori soltanto come variabile di costo».