Colpo su colpo. Oggi Berlusconi, alla guida della delegazione azzurra composta da lui e dalle capogruppo Gelmini e Bernini, dirà al presidente Mattarella, nel corso della consultazione in agenda per le 11, che Forza Italia esclude ogni collaborazione con M5S: «Totale incompatibilità». E’ la linea dettata dal Cavaliere e accolta dal vertice forzista riunito ieri a palazzo Grazioli, con tutti gli alti ufficiali chiamati uno per uno a esprimersi. Il tam tam, a fine vertice, è da chiamata alle armi. «Indisponibilità al dialogo con chi pone veti inaccettabili in democrazia», recita una nota informale. «Impossibilità di accettare un atteggiamento offensivo verso il nostro leader e una posizione subalterna», rincara Gasparri.

IL PARTITO AZZURRO ha deciso di adottare la linea più dura dopo aver incassato, nel corso della giornata, garanzie di fedeltà da parte di tutti gli alleati. Soprattutto da quella Lega alla quale si era rivolto Di Maio, proponendo un «contratto» per governare insieme in cambio della rottura non solo con il capo di Fi ma con l’intero partito. «Forza Italia è Berlusconi», aveva tagliato corto martedì sera da Floris. La replica finale del Carroccio arriva in serata quando Giorgetti chiude ogni spiraglio: «Se continuano i veti su Berlusconi l’unica strada è il voto». Parole che rincarano la posizione assunta dallo stesso Giorgetti al mattino: «Non può chiedere di tradire Berlusconi». Giorgia Meloni, dopo la consultazione di FdI, si era mossa sulla stessa linea: «Il centrodestra è compatto sulla candidatura Salvini».

La chiusura del Carroccio arriva dopo che Di Maio era tornato alla carica, via Fb: «Spero di incontrare presto i leader del Pd e della Lega. La Lega deve decidere se contribuire al cambiamento o restare ancorata al passato». Il No del Pd era stato immediato, affidato all’ex capogruppo Rosato: «Se Di Maio pensa di poter scegliere lui chi incontrare nel Pd sbaglia di grosso». I portoni sbarrati sia da Salvini che dal Pd alla vigilia dell’incontro con Mattarella rendono la missione del presidente ancora più complicata. Eppure sul Colle non si respira troppo pessimismo.

Le consultazioni pesanti sono tutte in calendario per oggi e alla fine probabilmente Mattarella uscirà per fare il punto della situazione. Ieri, dopo gli incontri con Napolitano e con i presidenti delle Camere, Casellati e Fico, sono sfilati i gruppi delle autonomie locali, il gruppo misto del Senato, una delegazione folta composta dalla capogruppo De Petris, da Piero Grasso per LeU, che ha lasciato la porta aperta a un dialogo sui programmi con M5S, da Emma Bonino e dal socialista Nencini, che hanno invece ribadito la linea di Renzi, «chi ha vinto ha l’onore e l’onere di governare», infine il gruppo FdI.

E’ STATO SOLO UN ASSAGGIO ma sufficiente per far almeno intuire come Sergio Mattarella intenda giocare una partita difficilissima. Senza fretta, con pazienza, senza protagonismo ma anche senza permettere che le cose seguano il loro corso. Al contrario tessendo una tela che richiede tempi lunghi. Che la situazione si sblocchi prima delle regionali in Friuli e Molise, a fine aprile, è improbabile. Arrivare senza un governo agli appuntamenti europei di fine giugno, nei quali si salderà l’asse Merkel-Macron con l’Italia che rischia di essere tagliata fuori dalla guida effettiva dell’Unione, sarebbe un danno certo. Mattarella cercherà nel prossimo mese, con un nuovo giro di consultazioni quasi certamente già la settimana prossima, di porre le basi per una soluzione che arriverà, se il presidente avrà successo, probabilmente non prima di maggio.

PER ORA LA VIA MAESTRA è quella di un accordo tra le due forze uscite vincitrici il 4 marzo, M5S e centrodestra. La strada era impervia. Il diktat di Luigi Di Maio e le repliche di Forza Italia, Lega e Pd l’hanno resa impraticabile. Solo che quel diktat quasi nessuno lo prende alla lettera. Il presidente lavorerà per smussare angoli e stemperare rigidità. La proposta avanzata da M5S è inaccettabile, ma se Di Maio la addolcisse, magari chiedendo a Fi di indicare ministri tecnici o addirittura accettando anche di sacrificare la presidenza del consiglio a favore di una figura terza, la Lega potrebbe ritenere la concessione sufficiente. E’ il timore che serpeggia nei ranghi azzurri: a quel punto, inevitabilmente, il capo dello Stato spenderebbe la sua moral suasion per spingere Arcore ad accettare una «mediazione» che per Berlusconi equivarrebbe alla disfatta.