Se fosse una campagna elettorale «normale», con una legge razionale, bisognerebbe concludere che la coalizione di centrodestra sarà pure avanti nei sondaggi ma con quel vantaggio farà ben poco, essendo in disaccordo su tutto. La giornata di ieri non sarebbe riuscita a immaginarla neppure la satira più azzardata. Matteo Salvini apre le danze promettendo l’abolizione dei vaccini resi obbligatori dalla legge Lorenzin: «Vaccini sì, obbligo no». Il capo dei senatori azzurri Paolo Romani, che pure non è certo ostile alla Lega, lo smentisce a stretto giro: «Noi abbiamo votato convintamente a favore». Anche Silvio Berlusconi, nelle stesse ore, largheggia in promesse: «Aboliremo il Jobs Act perché ha dato solo una spinta provvisoria ai contratti a termine». Ma Jobs Act vuol dire anche abolizione dell’articolo 18, quella che proprio Berlusconi aveva provato ben prima di Renzi, salvo essere stoppato da tre milioni di lavoratori portati a Roma dalla Cgil di Cofferati nella più grande manifestazione sindacale della storia repubblicana.
Giorgia Meloni entra a gamba tesa nel dibattito, «Noi siamo contrari al ripristino dell’articolo 18», e lo stesso ex Cavaliere si corregge. Anzi si fa correggere da una nota di Forza Italia. «Parole parzialmente fraintese», quel che il capo voleva dire è solo che «introdurremo strumenti più efficaci». Quali? Boh!

Dopo un po’ lo stesso leader torna sull’argomento: «Da liberista sono convinto che il lavoro precario sia meglio di nessun lavoro e che però non sia una buona soluzione per nessuno». Ma l’articolo 18, sia ben chiaro, resta al cimitero.
Poi c’è la riforma Fornero, cavallo di battaglia della Lega che nel vertice di domenica scorsa aveva strappato a Berlusconi la promessa di abolirla. Qui è lo stesso Berlusconi a mettersi di mezzo, se non proprio inchiodando almeno frenando: «Non si può abolire tutta la legge. Noi vogliamo cancellare solo i provvedimenti più iniqui». Quali? E chi lo sa!
Sembra davvero la guerra di tutti contro tutti, invece è solo il frutto di una legge elettorale che nella sostanza è proporzionale e quindi obbliga i coalizzati a farsi la guerra per finta senza nemmeno pretendere di essere presi sul serio. Non a caso, proprio mentre giocano a chi smentisce prima l’altro in materia di promesse, i soci della destra si accordano senza troppi traumi sia sul programma di massima in 6 punti, che dovrebbe prevedere la Flat Tax, l’abolizione di Equitalia, l’innalzamento a 8mila euro del tetto del contante ma anche l’intervento sulla Fornero reclamato da Salvini, sia sulla definizione delle candidature nei collegi, che verrà fatta sulla base dei prossimi sondaggi. Ma soprattutto i coalizzati di re Silvio s’intendono sulle candidature alle regionali.

Berlusconi ha dato il semaforo verde al leghista Attilio Fontana, e gli ha comunicato di persona la lieta novella in un incontro, ovviamente molto cordiale, ad Arcore. Non c’erano mai stati dubbi. La candidatura del Carroccio in Lombardia era inevitabile e comunque i sospirati sondaggi di Alessandra Ghisleri, puntualmente arrivati ieri, sono consolanti. Certo Mariastella Gelmini sarebbe stata molto più nota e avrebbe avuto gioco più facile, con 14 punti di scarto su Gori. Questo Fontana invece lo conoscono in pochi, e i punti di vantaggio sono solo 12. Ma di rischi veri non sembrano essercene e tutto lascia pensare che abbia ragione il governatore uscente Roberto Maroni quando taglia corto: «Comunque non c’è partita».

Risolto il caso lombardo resta quello del Lazio. La decisione non è ancora stata presa. Berlusconi si limita a dichiarare che Gasparri sarebbe un ottimo candidato, ma è un gioco di avvicinamenti progressivi. Forza Italia punta sull’ex missino ma per giocarsi una carta così pesante aspetta che i sondaggi e il quadro generale diano garanzie di vittoria.
Per ora gli auspici sono rosei, con il centrodestra avanti di oltre 10 punti rispetto al Pd. L’accordo con LeU, accreditata di una percentuale tra il 7 e l’8%, è dunque questione di vita o di morte per il Pd e le pressioni su Pietro Grasso, apertamente confessate dallo stesso Renzi, sono massicce, sia sulla piazza lombarda che su quella del Lazio. All’interno di LeU l’Mdp è a un passo dal decidere il sostegno a Zingaretti e Grasso, che secondo Laura Boldrini sta «gestendo direttamente la partita», sarebbe dello stesso parere. L’area di Sinistra italiana ancora resiste e comunque ritiene fondamentale che la lista di Beatrice Lorenzin non faccia parte della coalizione. Ma se in Lombardia l’accordo è ancora distante, nel Lazio sembra invece imminente.