L’ora di Roberto Fico si avvicina. Il presidente della Camera già scalda i motori in attesa del mandato esplorativo che quasi certamente Mattarella conferirà proprio a lui, domani, per verificare le possibilità di dar vita a una maggioranza politica M5S-Pd, alla quale si aggiungerebbe quasi certamente anche LeU.

Proprio alla vigilia del nuovo incarico scade l’ultimatum di Di Maio a Salvini. A prendere sul serio le parole del leader dei 5S stasera si chiuderà il «forno» leghista. Ovviamente sono solo parole. Se nei prossimi giorni il leghista dovesse decidere di sganciarsi dall’Innominabile di Arcore quel forno si riaprirebbe seduta stante. Ma il significato simbolico del termine fissato da Di Maio permane. Da domani si aprirà una nuova partita, il Quirinale punterà su uno schema tutto diverso da quello seguito dal giorno delle elezioni in poi e le cose, per i mancati sposi gialloverdi, diventeranno anche più difficili.

Si capisce quindi perché Salvini, che per una volta ha scelto ieri un inusuale silenzio, sia corteggiato come mai prima, oggetto di complimenti appassionati e proposte esplicite sia da parte del pentastellato che di Silvio Berlusconi. «Con la Lega di Salvini possiamo fare cose molto importanti», esordisce Di Maio. Poi si allarga: «Ho avuto modo di testare la sua affidabilità. Sono sicuro che se la Lega firma un contratto tiene fede ai patti». La speranza del leader dei 5S è che il collega del Carroccio stia aspettando solo di incassare risultati eccellenti in Molise domani e soprattutto in Friuli la settimana prossima per fare le valigie e abbandonare il centrodestra. E’ una speranza destinata a minare le già scarse possibilità di successo dell’operazione Fico. Il Pd infatti non ha alcun interesse a uscire dal proprio arrocco, mossa che negli scacchi è d’attacco e non di difesa, finché Di Maio deambula tra due forni, mostrando chiaramente di preferire quello alla sua destra.

Quel che Di Maio spera, Berlusconi paventa. Il Cavaliere sa perfettamente di aver fatto un clamoroso errore con lo sbotto di venerdì. Non tanto per le volgarità rivolte ai 5S, dal momento che quella porta era comunque già stata chiusa da Di Maio, quanto per l’apertura al Pd, che confermava tutti i peggiori sospetti del leghista. La diplomazia del centrodestra ha cercato di ricucire per quanto possibile lo strappo. Giorgetti si è sentito al telefono con Berlusconi. E’ stato ipotizzato un incontro tra i due leader, che potrebbe svolgersi già oggi. Lo stesso signore d’Arcore è corso a Canossa: «Non ho mai detto di fare un governo con l’appoggio del Pd. Con il Pd non è in corso alcun rapporto. Il centrodestra è unito e Matteo Salvini è la persona che deve esprimere il leader».

Le sfumature in politica sono importanti e dire che Salvini deve esprimere il leader è cosa un po’ diversa dal riconoscerlo tale. Ma si sa che per Silvio Berlusconi riconoscere un leader diverso da se stesso è un po’ peggio che farsi cavare un dente senza anestesia. Non sarà questa ambiguità a decidere le scelte del leghista e non saranno neppure i risultati delle regionali ma solo la valutazione di cosa gli convenga di più tra l’entrare in una maggioranza come socio di minoranza, senza accesso a palazzo Chigi, e rischiare la nascita di un governo M5S-Pd.

Quel rischio, anche se il Pd continua a tenere le carte coperte e dice di voler aspettare le scelte di Mattarella, è concreto. Probabilmente la fumata bianca non arriverà dopo l’esplorazione di Fico. Renzi ha giocato sin qui una partita astuta, chiudendosi in un immobilismo apparente in attesa o della nascita di un governo M5S-Lega, che lascerebbe al Pd il monopolio dell’opposizione e la conseguente rendita di posizione, oppure di vedere Di Maio costretto a bussare alla sua porta, più o meno col cappello in mano. Finché esiste anche una minima possibilità che si realizzi la prima ipotesi Renzi non si smuoverà di un passo. Ma anche qualora fosse sicuro che il forno leghista ha chiuso davvero i battenti lascerebbe probabilmente gli assai poco amati 5S a macerarsi e porrebbe condizioni pesanti, inclusa la rinuncia di Di Maio.

Nelle intenzioni di Mattarella, il percorso della crisi dovrebbe procedere nella maniera più ordinata possibile. Per questo chiede di “esplorare” una strada alla volta in modo che, se dovrà rassegnarsi ad azzardare una sua ipotesi, se dovrà proporre un suo governo guidato da un suo presidente, sia chiaro che quella decisione è arrivata solo dopo aver cercato invano, ma strenuamente, una soluzione diversa. Le manovre dei leader renderanno impossibile muoversi con quell’ordine. I due forni di Di Maio resteranno comunque aperti. Renzi punterà ad alzare quanto più possibile il prezzo. Ma da domani, salvo ripensamenti domenicali di Salvini, la crisi entrerà comunque in una fase del tutto diversa.