«Non ci sono le condizioni minime di lealtà e serenità per garantirvi che l’assemblea non si trasformi in un campo di battaglia tra iscritti a diversi partiti». Tomaso Montanari, frontman dei civici che si sono autoconvocati lo scorso 18 giugno nel teatro romano del Brancaccio, cancella l’appuntamento del 18 novembre al cui ordine del giorno c’è l’adesione alla lista con Mdp, Si e Possibile. Tutto sbagliato, non se ne fa più niente. Con tante scuse. E in effetti di scuse ce ne vogliono tante: non solo per i tanti biglietti di treno e aereo dei militanti che vanno buttati.

LO STOP IN REALTÀ non è un fulmine a ciel sereno. L’ultima settimana è stata un precipitare di dissensi e malumori. Il 7 novembre Mdp e Sinistra italiana anticipano alla stampa un documento «di intenti» per la lista unitaria. A stilarlo ha contribuito anche Montanari. Che però non può annunciare l’adesione formale a nome dei suoi prima dell’assemblea. I tre partiti vanno avanti e convocano l’assemblea del 2 dicembre per lanciare la lista. Su Montanari e Anna Falcone, l’altra rappresentante del Brancaccio, piovono le critiche severe del Prc, questioni di merito e di metodo, come si usa dire a sinistra.

INTANTO A TORINO E A FIRENZE si celebrano assemblee tormentate. Montanari e Falcone si spiegano. Chat, telefonate, mailing list riservatissime. Si difendono (l’avvocata anche con un’intervista sul manifesto). Ma ancora sabato sera troppe cose non tornano: da una parte la ‘narrazione’ del percorso «dal basso», dall’altra le accuse di scarsa comunicazione e trasparenza. E quella di subalternità verso la Ditta Bersani&D’Alema, dopo le tante critiche ai governi blairisti e di centrosinistra. Per di più la democrazia partecipativa deve essere però organizzata: non è chiara ancora la ’base elettorale’ dell’assemblea, non si rende pubblico il numero di iscritti.

LUNEDÌ MATTINA i due decidono lo stop. Stop alla convergenza nella lista unitaria, obiettivo delle 98 assemblee svolte in tutta Italia. Lo storico dell’arte firma, da solo, un documento indignato. Nessuna autocritica, è tutta colpa dei partiti della sinistra, tutti: «Hanno deciso che non vogliono questa unione più vasta possibile», si sono scelti un leader dal vertice, cioè il presidente Grasso. E hanno deciso «una spartizione di delegati tra partiti», «un teatro che copre l’obiettivo reale: rieleggere la fetta più grande possibile degli attuali gruppi parlamentari». Ce n’è anche per il Prc: «Dopo aver sostanzialmente preso in ostaggio l’assemblea provinciale del Brancaccio a Torino, ha fatto capire di voler fare altrettanto con quella del 18 a Roma: ‘prendiamoci il Brancaccio’, si è letto sui social». E allora «un’assemblea senza più nulla da decidere sarebbe solo un rissoso palcoscenico offerto all’impeto autodistruttivo dell’ultimo partito rimasto». Insomma bisogna evitare che l’assemblea scelga per «una piccola lista di Rifondazione riverniciata di civismo», considerato un eventuale «tradimento» delle premesse del Brancaccio, Montanari scende «dall’autobus». Niente liste, semmai si continua un’associazione.

«ABBIAMO RICEVUTO accuse e pressioni inaccettabili. Le rigettiamo tutte, come persone libere, prima che come garanti di questo percorso», scrive Anna Falcone su facebook,e rivendica di aver stoppato i riti verticisti che già l’avevano scottata con la lista Ingroia nel 2013: «Se vi odiate continuate a farlo fuori da qui». Annuncia che le offerte di seggi non saranno accettate e smentisce divergenze con Montanari: «Non ci separiamo, andiamo avanti insieme con la nostra associazione».

I PARTITI MESSI SUL BANCO degli accusati evitano di far volare gli stracci, ma si difendono: «Non mi rassegno al fatto che non si continui un percorso che in larghissima parte abbiamo condiviso», dice Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana, impegnato anche a smentire la spartizione delle liste. «Alle liste non stiamo ancora pensando. Abbiamo condiviso tutti i passaggi politici. Considero questa contrapposizione fra partiti e civici davvero anacronistica. Mi rivolgo a tutti i protagonisti del Brancaccio: vengano a contribuire all’assemblea del 2 dicembre». Maurizio Acerbo, segretario Prc, esprime amarezza per il triste finale della vicenda e se la prende con i tre partiti della lista: «Invece di investire sul Brancaccio, cioè la creazione di una lista unica a sinistra davvero innovativa, hanno preferito un accordo di vertice su un profilo ambiguo». Il Prc annuncia una lista «della sinistra antiliberista», «nello spirito del Brancaccio». Ma naturalmente non tutti i comunisti sono d’accordo: per Marco Ferrando, dei trozkisti del Pcl, il fallimento del Brancaccio «non è un incidente, ma la fine annunciata di un equivoco. Iscrivere alla sinistra che c’è D’Alema e Bersani, primi responsabili della distruzione della sinistra ha reso quel paradosso insostenibile». Massimo Torelli, dell’Altra Europa, associazione che pure aveva criticato i due, ora chiede «rispetto» per loro, e di non partecipare «allo scaricabarile o al tiro al bersaglio, abbiamo perso tutte e tutti».