La scena fotografa bene l’abisso in cui è caduto il Brasile: Bolsonaro che pone la sua firma sul decreto relativo al porto d’armi destinato a trasformare il paese in un Far West e attorno a lui un gruppo di deputati e senatori esultanti che simulano il gesto di sparare con una pistola.
Dopo aver già imposto a inizio anno un altro decreto mirato ad agevolare il possesso di un’arma da fuoco in casa, il presidente ha mantenuto fede alla sua promessa elettorale, flessibilizzando le regole sulla circolazione di armi e munizioni, con tanto di aumento del numero di proiettili acquistabili dai proprietari di una licenza da 50 all’anno a un massimo di 5.000. E, soprattutto, ha ampliato l’accesso al porto d’armi a nuove categorie sociali, dai politici agli avvocati, dai giornalisti agli ufficiali di giustizia, fino ai camionisti e ai residenti in aree rurali, che da soli sono già 18,6 milioni.

COMPRESI, NATURALMENTE, quei latifondisti a cui Bolsonaro ha sempre riconosciuto il diritto di usare il fucile contro i senza terra. «Se un tizio entra nella fazenda, sarà accolto da una pioggia di piombo», ha annunciato baldanzosamente Ilson Redivo, presidente di un Sindacato dei produttori rurali in Mato Grosso: «Prima gli spari e poi gli chiedi cosa sia venuto a fare».

Ciliegina sulla torta, persino bambini e adolescenti potranno frequentare il poligono senza autorizzazione giudiziaria.

In un paese che, con 60mila omicidi l’anno, è al 13° posto nella classifica dei paesi più violenti al mondo, Bolsonaro ha inferto così un colpo mortale allo Statuto sul disarmo approvato sotto il governo Lula per limitare il numero di armi in circolazione. E lo ha fatto usurpando le funzioni del Congresso, dove però sono in molti, tra deputati e senatori, ad annunciare battaglia, forti peraltro del sostegno della popolazione, il 64% della quale è contro il provvedimento.

MA OLTRE A FARE DEL BRASILE «un immenso poligono di tiro», secondo le parole di Jeferson Miola dell’Istituto Idea di Porto Alegre, il decreto rischia anche di spianare la strada alle milizie – i cui legami con il clan Bolsonaro sono stati ampiamente dimostrati e opportunamente insabbiati – per l’acquisto di armi pesanti e munizioni. Milizie che, sottolinea l’editorialista della Folha de São Paulo Reinaldo Azevedo, «già controllano due milioni di persone a Rio» e che ora potranno contare su «una copertura legale per le loro attività».

In tal senso, al di là del favore dovuto alla bancada da bala, la lobby dell’industra delle armi, il decreto sembra strizzare l’occhio ai settori in grado di puntellare il potere traballante del clan Bolsonaro, dalle milizie ai ruralisti, dalle imprese di sicurezza ai quadri intermedi dell’esercito. Nel momento in cui i rapporti con i vertici delle forze armate risultano seriamente compromessi dal violento scontro tra l’astrologo e pseudo-filosofo Olavo de Carvalho e l’ala militare del governo, la quale punterebbe, secondo l’ideologo del clan Bolsonaro, a offrirsi come un’alternativa di buon senso rispetto all’incapace presidente.

Dinanzi agli attacchi rivolti in successione al vicepresidente Hamilton Mourão (colpevole di essere più popolare di Bolsonaro), al ministro della Segreteria di governo Santos Cruz e infine persino all’intoccabile generale Eduardo Villas Bôas – il grande stratega della vittoria di Bolsonaro colpito dalla sclerosi laterale amiotrofica – il presidente ha finito per schierarsi a fianco del suo guru, definendolo come un’icona nella lotta «contro l’ideologia insana» del comunismo. E, soprattutto, annunciando – proprio durante un pranzo al quartier generale dell’esercito a Brasilia – il taglio addirittura del 44% del bilancio delle forze armate. Una sorta di dichiarazione di guerra.

MA È UN ALTRO PESANTE TAGLIO, oltre a quelli drammatici in materia ambientale e climatica, a dominare la scena politica brasiliana: quello del 30% del bilancio delle università annunciato dal nuovo ministro dell’Educazione Abraham Weintraub, voluto proprio da Olavo de Carvalho, il quale aveva indicato peraltro anche il suo predecessore Ricardo Vélez, costretto alle dimissioni per manifesta inettitudine.

L’effetto dei tagli al settore universitario – ma altri ne sono previsti per tutti i gradi di istruzione – è stato quello di far scendere finalmente la gente in strada, dopo la paralisi seguita alla vittoria-shock di Bolsonaro. Così migliaia di persone hanno manifestato venerdì nel centro di Rio de Janeiro, facendo seguito a diverse altre proteste registrate in decine di stati nei giorni precedenti.

L’ATTESA ORA è tutta per il prossimo 15 maggio, quando avrà luogo lo sciopero generale convocato da studenti, insegnanti e lavoratori delle università pubbliche del Brasile, non solo contro i tagli, ma anche contro l’imposizione nel sistema educativo di un pensiero unico incompatibile con i diritti umani, tutto nel segno della lotta contro il “marxismo culturale”. E già in molti sognano una prima spallata al governo.