«Ho proposto 17 variazioni su 445 collegi tra uninominali e plurinominali. Non è uno stravolgimento, come sostengono i catastrofisti anti Pd, ma un miglioramento con pochissime modifiche». Il relatore Emanuele Fiano difende dalle critiche la sua proposta di cambiare il disegno dei collegi proposto dalla commissione di esperti. Andrà al voto oggi in commissione affari costituzionali (sia alla camera che al senato) e al Pd basteranno i voti dei suoi commissari e di quelli di Alfano e Verdini per vederla approvata. Movimento 5 Stelle e sinistre voteranno contro, Forza Italia si dice contraria ma potrebbe astenersi in omaggio al patto che sta dietro la nuova legge elettorale. D’altra parte il parere delle commissioni è solo consultivo per il governo che entro martedì fisserà i collegi in un decreto.

Fiano però fa male i calcoli. I collegi che, suo tramite, il Pd (e in qualche caso come in Sicilia e Basilicata anche Ap) ha interesse a rivedere sono molti più di 17, sono 47. La maggior parte alla camera, 25 collegi uninominali (cinque in Sicilia 2, quattro in Campania 1, tre in Toscana e Sardegna, due in Umbria, Lazio 2, Abruzzo, Campania 2 e Basilicata) e 11 collegi plurinominali (quasi tutti in Toscana, nove, e due in Lombardia 1). Sono 11 invece le richieste di modifica al senato, per 6 collegi uninominali (due a testa in Piemonte, Lombardia e Sardegna) e 5 plurinominali (3 in Sicilia e 2 in Lombardia). In definitiva dunque dieci regioni su venti sono toccate dagli interventi proposti da Fiano, e solo sette vedono confermato il lavoro della commissione ministeriale – per tre regioni (Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Molise) la scelta dei collegi è già nella legge elettorale.

Giorgio Alleva, presidente dell’Istat e anche presidente della commissione governativa di esperti, ha spiegato in audizione alla camera che il primo criterio seguito per disegnare i nuovi collegi uninominali è stato quello «conservativo». Si è cercato cioè di mantenere i collegi già disegnati – sulla base di un lavoro ben più lungo (quattro mesi contro quattro settimane) – nel 1993 quando fu introdotto il sistema di voto uninominale con la legge Mattarella. Del resto è quello che prevede la delega al governo contenuta nella legge elettorale, all’articolo 3. Dove si raccomanda di confermare per la camera i collegi stabiliti nel ’93 per il senato, nel caso in cui alla circoscrizione sia assegnato lo stesso numero di collegi di allora e non ci siano stati nel frattempo sbalzi demografici. La commissione Alleva è partita da lì e ha verificato che per 12 circoscrizioni questi criteri sono rispettati e quindi non ha cambiato nulla rispetto al lavoro di 24 anni fa: «La soluzione conservativa è apparsa la più neutrale e quindi è stata preferita». Per quattro circoscrizioni, invece – innanzitutto la Toscana, ma poi anche Sicilia 2, Abruzzo e Sardegna – il Pd non è stato d’accordo, smentendo così sia la commissione che la sua stessa legge elettorale. Evidentemente meno interessato alla neutralità, Fiano ha proposto la modifica di 13 collegi uninominali che parevano intoccabili. E ha aggiunto la richiesta di altre otto modifiche (in Campania 1 e 2 e Lazio 2) per circoscrizioni dove il numero di collegi è ancora quello del ’93 ma la commissione Alleva ha dovuto fare qualche piccolo spostamento di comuni da un collegio all’altro per assecondare i mutamenti demografici. Fiano preferisce spostamenti alternativi.

Il Pd non ha rinunciato a cambiare anche i collegi plurinominali, il caso più clamoroso è quello che con Empoli comprende il comune di Renzi, Rignano. Spostato dal collegio di Livorno a quello di Firenze, malgrado questo provochi a cascata l’espansione del collegio di Pistoia fino a farlo diventare più grande del 19,5% della media dei collegi della regione. Una differenza enorme eppure possibile, perché per la prima volta la delega ha raddoppiato il margine di scostamento tollerato: dal 10% al 20%.