Nel maggio del 2000, il giorno del caotico ritiro israeliano dal Libano meridionale dopo 22 anni di occupazione, mi trovai su un’altura a fianco dell’allora ministro degli Esteri iraniano Kamal Kharazi intento a scrutare le truppe ebraiche con un binocolo da campo.

Kharazi, ministro degli Esteri ai tempi del riformista Mohammed Khatami, ora è capo del Consiglio strategico iraniano ed è in Italia per un tour europeo come inviato speciale del presidente Hassan Rouhani. A Roma ha incontrato il nuovo ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi: sul tavolo l’accordo sul nucleare e le sanzioni americane che colpiranno le imprese europee e italiane che hanno in Iran commesse sui 27 miliardi di euro. Ma è dal Libano e dalla Siria che comincia la nostra conversazione.

Israele bombarda le vostre postazioni in Siria. Ci sarà un conflitto tra Iran e Israele in Siria, o in Libano con Hezbollah?

Israele ha colpito la base T-4 vicino a Palmira. Ma colpendo noi gli israeliani prendono di mira anche il governo siriano impegnato nella lotta contro i jihadisti: con queste azioni Israele sostiene in realtà il terrorismo. Ma gli israeliani sanno anche molto bene che se agiranno contro gli interessi iraniani riceveranno una risposta adeguata. E nel caso della base T-4 la risposta è arrivata con un lancio di missili contro le alture del Golan. Per quanto riguarda gli Hezbollah, Israele è consapevole che sono più che pronti a dare una risposta adeguata se tenterà un’aggressione come nel 2006.

Kharazi ieri a Roma con il ministro Moavero Milanesi (Ansa)

 

Siete in conflitto con Israele ma anche con gli Usa: Trump sta negoziando con il leader nordcoreano Kim Jong-un, che però ha l’atomica. Forse potrebbe trattare anche voi. Ci sono segnali di una possibile apertura?

Gli Stati uniti vorrebbero trattare con l’Iran ma siamo noi che non siamo disponibili a modificare l’accordo sul nucleare del 2015. Il perché è molto chiaro: abbiamo sperimentato le trattative con gli Usa e abbiamo visto come è andata a finire. Hanno annullato l’accordo in violazione di ogni legge internazionale. L’Iran ha rispettato l’intesa come ha attestato l’Agenzia internazionale dell’energia atomica e gli stessi controlli periodici del governo americano. Non abbiamo alcuna fiducia in questo momento negli Usa. All’orizzonte non si vede nessuna apertura che richiederebbe per altro un deciso cambio di atteggiamento da parte degli Stati uniti.

Come incidono le pressioni israeliane e saudite sulla posizione americana anti-Iran?

Gli Usa dovrebbero rispondere a questa domanda dell’opinione pubblica internazionale: Israele e Arabia saudita godono del sostengo americano e schierano armi sofisticate, per quale motivo l’Iran non dovrebbe avere diritto a possedere dei missili per la propria autodifesa? Del resto abbiamo sentito cosa ha detto Trump: uno dei suoi obiettivi politici principali è avere a sua disposizione le risorse finanziarie dell’Arabia saudita mentre l’appoggio a Israele è primario, detta le stesse mosse della politica estera Usa in Medio Oriente.

Ma con questo atteggiamento è compromessa la credibilità americana. L’Arabia saudita non conosce la democrazia o un’elezione, è un Paese di proprietà di una famiglia ma soprattutto è il principale sostenitore dell’Isis e dei terroristi in Siria. In Yemen è conosciuto come Stato che uccide civili e bambini. Così come Israele fa quello che vuole con i palestinesi e prosegue indisturbato l’occupazione delle loro case e della loro terra. L’Iran ha invece perseguito la lotta all’Isis e al terrorismo, uno dei punti cardine della sua politica estera.

Dunque per negoziare con gli Usa bisogna avere l’atomica come Kim Jong-un?

Non è una questione di bomba atomica ma di potere. Non è un problema di potenza militare ma ideologico: l’Iran e l’asse della resistenza non si piegano ai diktat americani. È questo che fa innervosire gli Usa, non il nostro potenziale militare ma la difesa dell’indipendenza nazionale, della nostra sovranità, della nostra dignità.

Gli Usa e i loro alleati sono nervosi anche per il patto con Russia e Turchia, dove tra l’altro si vota domenica per legislative e presidenziali. Ma Erdogan è affidabile?

Fino a oggi l’accordo ha avuto effetti molto positivi. È vero che ci sono alcune divergenze tra i tre Paesi, per esempio tra Turchia e Iran, ma complessivamente l’intesa ha portato maggiore stabilità in Siria e in Turchia. Il governo siriano oggi controlla la maggior parte del Paese e i terroristi affrontano molte difficoltà.

La Turchia ha rinunciato ad abbattere Assad?

Erdogan non parla più di rovesciarlo. È concentrato sui gruppi curdi che secondo Ankara mettono a repentaglio la sicurezza delle sue frontiere.

L’Iran è d’accordo con la politica anti-curda di Erdogan?

Noi siamo preoccupati dalle provocazioni indotte dalle potenze straniere nelle zone dove abitano i curdi. Ma non necessariamente le preoccupazioni e le posizioni della Turchia coincidono con quelle dell’Iran sui curdi.

Quindi vi fidate di Erdogan ma fino a un certo punto?

Ci fidiamo dei risultati del negoziato di Astana, dei cambiamenti della politica turca che hanno consentito di contenere i gruppi terroristici e concentrarli in aree definite di de-escalation: questo risultato è stato ottenuto con la collaborazione della Turchia.

Veniamo alla sua missione in Europa. Come incideranno le sanzioni Usa nei rapporti tra Iran e Unione europea?

Le sanzioni non sono solo contro l’Iran ma contro il mondo intero e anche l’Europa. Sono sanzioni unilaterali che colpiscono l’interesse di tutti: sono l’espressione del bullismo di Trump. Gli Stati uniti sono usciti dall’intesa del 2015 violando la risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza: si sono posti contro tutta la comunità internazionale.

Come aggirare le sanzioni?

L’unico modo è resistere agli Stati uniti. La questione centrale non è aiutare l’Iran, per i Paesi europei preservare l’accordo sul nucleare significa difendere la propria sovranità e indipendenza. In ballo non ci sono solo le dimensioni economiche ma la stessa sicurezza europea. L’Europa ha mezzi e possibilità per aggirare le sanzioni, lo abbiamo fatto anche in passato. Ricordatevi che l’Iran è sopravvissuto e ha prosperato per quasi 40 anni sotto le sanzioni americane mentre la sicurezza europea viene messa in pericolo proprio dall’atteggiamento degli Stati uniti.

Come vede questa Europa alle prese con i litigi sui migranti e le spinte verso la disgregazione?

Quello che sta accadendo è la conseguenza degli errori commessi dai Paesi europei. Quando sono cominciati i fatti siriani, l’Europa non ha reagito ma ha consentito che i terroristi prendessero piede in un’area a loro molto vicina. Terrorismo e migrazioni sono problemi nati anche dalle politiche sbagliate in Libia e in Siria: distruggere la sicurezza degli Stati è facile, molto più complicato è restaurarla. L’Iraq nel 2003 avrebbe dovuto insegnare qualche cosa. Noi ci aspettavamo che gli europei facessero la lotta al terrorismo invece Francia, Gran Bretagna e Usa parlavano soltanto di cambiare il governo siriano. Sono stati l’Iran e la Russia a fare la lotta ai jihadisti. E se non fosse stato per l’Iran oggi l’Europa avrebbe subito attacchi ancora maggiori.