UDINE. Distratti da uno sterile vociare politico che divide l’Italia in Nord e Sud ci si dimentica del “confine orientale”, che ha il suo centro a Udine, e rappresenta una porta, ora socchiusa, ora sbarrata, verso l’Est. La collocazione del popolare Far East Film Festival in questa citta’ non e’ quindi una scelta esotica, frutto soltanto delle passioni cinefile dei suoi intraprendenti promotori, ma si situa in una geografia variabile, tra Nord ed Est: Alpe-Adria, le valli del Natisone parlanti sloveno e naturalmente Trieste. Una connessione euroasiatica questa che si deduce dall’importante iniziativa del festival di coinvolgere i rappresentanti del governo nazionale e regionale in un dibattito pubblico sui rapporti tra Friuli e Cina, a partire dalla presentazione del documentario La ferrovia della seta, diretto dal giornalista Sky Pio D’Emilia.

Dal punto di vista cinematografico, questa edizione 21 del FEFF, oltre a proporre eventi professionali volti a favorire l’interscambio produttivo coi paesi dell’Estremo Oriente, ha lasciato soddisfatti sia il pubblico popolare che ama arti marziali, cupi noir e horror ai limiti della sopportazione, che i critici e gli “orientalisti” di professione.

Inoltre, accompagnata dalla monografia curata da Darcy Paquet, I Choose Evil. Lawbreakers Under the Military Dicatorship la retrospettiva e’ stata dedicata al cinema coreano, che celebra il suo centenario, proponendo otto film rappresentativi di forme di “resistenza” durante il regime militare, negli anni tra 1961 e 1993. Il tema del doppio, ovvero una metafora della divisione del paese, si esplica nel dualismo che in essi contrappone l’eroe e il cattivo, che si specchiano e sono comunque insubordinati rispetto all’ordine tradizionale, come il poliziotto che per indagare sull’omicidio di un ricco possidente, va oltre le regole istituzionali e il sergente cacciato dall’esercito regolare. Jacko (1980) propone infatti un militare che per decenni continua a dare la caccia al partigiano comunista che ha causato la rovina della sua carriera, e intreccia le vicende dei due nei vari periodi che seguono la guerra, con una dose inattesa e intensa di sessualita’ e zoom ad effetto sui primi piani, in stile spaghetti western. Davvero spiazzante il momento in cui gli eroi, distrutti dalla loro inutile lotta, entrano in una Seoul modernissima, che li ha emarginati perche’ deve ancora elaborare questi traumi storici. Analogamente in The Last Witness (1980) un poliziotto ripercorre la storia del paese, seguendo le vicende di una giovane aristocratica che si riduce, alla fine, alla prostituzione, dopo esser stata sedotta da un uomo di una classe inferiore, seminandosi alle spalle tragedie e tradimenti tra coloro chi si sono impadroniti del tesoro di famiglia. Tra le righe dei flash back e scene pink piuttosto erotiche, emerge la difficolta’ di stabilire, anche in questo caso, chi siano i buoni e i cattivi, in un percorso a rintracciare i vari testimoni che attraversa tutta la Corea, tra campagne desolate e moderne stazioni ferroviarie.

Il melo Ticket (1986) propone un altro tema che ricorre in molti dei film del concorso di quest’anno, ovvero il ruolo della donna, come sempre la prima vittima di situazioni sociali avverse, che paga con la vita il suo desiderio di liberta’ o riscatto, oppure e’ costretta a prostituirsi.

La questione femminile e l’emigrazione dalle campagne alle metropoli o in altri continenti sono temi attuali che creano la back story o la motivazione di molti personaggi che popolano film di genere come il thriller cinese Lost, Found, in cui si esplora la condizione femminile, tra lavoro, dignita’ personale e maternita’, di una agiata avvocatessa (la star e attivista Yao Chen) e la baby sitter, abusata dal marito in fuga dal suo villaggio, che le rapisce la figlia. O ancora le ragazze filippine che le famiglie, a caro prezzo, mandano a lavorare in Finlandia sperando in un matrimonio con un uomo ricco (Rock Signal) o che fuggono a Hong Kong (Still Human) per sfuggire da un marito che la picchia, per accudire un vecchio paralitico, cui devono cambiare il pannolone una volta al giorno e aiutarlo ad espletare le funzioni corporali. Interpretato con la consueta bravura da Anthony Wong (premiato col Gelso d’oro alla carriera), questo intenso Still Human ha vinto sia il premio del pubblico che quello della critica.

Appartengono al nutrito contingente cinese Dying to Survive (sui medicinali per la leucemia importati clandestinamente dall’India) che si e’ aggiudicato il secondo posto, e The Rib (una sorta di Boy Erased dove le convinzioni religiose dei padri si trasformano nella persecuzione dei figli) sull’intervento chirurgico per i transgender. Questi due coraggiosi e a tratti commoventi film di denuncia sociale, si concludono con pacificanti didascalie che collegano le storie (vere) all’impatto che hanno avuto nel portare le autorita’ cinesi a reagire a questi problemi introducendo nuova legislazione. Il finale rassicurante non attenua comunque la durezza nella rappresentazione delle vicende, che naturalmente non riguardano solo la Cina.

Bello anche il giapponese Melancholic, un notevole esordio alla regia di Tanaka Seji, premiato infatti come opera prima. Il protagonista e’ uno studente dell’Universita’ di Tokyo, piuttosto tontolotto, che va a lavorare in un bagno pubblico, dove la yakuza compie i suoi omicidi e lui e’ costretto prima a pulire i terrificanti resti, e via via a partecipare sempre piu’ attivamente all’attivita’ criminale, assieme a un collega ben altrimenti esperto nelle tecniche di eliminazione. Inatteso il finale ma soprattutto l’humor sia empatico che ironico, anzi nerissimo, che il film riesce a tenere insieme, attraverso il volto stralunato dell’occhialuto protagonista, che sembra del tutto avulso dai fatti e dalle proprie responsabilita’.

L’atteso Jam di Sebu, tiene il ritmo di una storia che intreccia in modo sapiente le vicende di tre personaggi diversi: un piccolo criminale che si occupa della vecchia madre in sedia rotelle, ma allo stesso tempo vuole eliminare, a colpi di martello, i colleghi della banda che l’hanno tradito, una star pop sequestrata da una fan, ossessionata dal suo culto e un ragazzo che vuole compiere buone azioni, convinto che in questo modo il suo dio fara’ uscire dal coma la sua ragazza. Ogni storia ha i suoi colori, sgargianti per il cantante e cupissimi per il criminale, con i rituali inseguimenti mozzafiato e alcuni momenti d’effetto, come quando la fan vola come un proiettile fuori dall’auto.

Belle sorprese e nessuna delusione: non poco per un festival che cresce in numeri e in qualita’ di anno in anno, in una citta’ che ora 81 milioni di cinesi, followers della star Yao Chen, premiata al Far East, hanno scoperto sui social!

 

Vivace, per non dire polemico, l’incontro Sulle vie della seta, inserito nel programma del festival, presenti il sottosegretario al commercio estero, il pentastellato Michele Geraci e il presidente della regione, il leghista Massimiliano Fedriga, oltre ai rappresentanti dell’imprenditoria locale. Si e’ discusso infatti del recente memorandum firmato dal governo con Xi Jinping, con una particolare attenzione per l’accordo relativo al porto di Trieste e al ruolo del Friuli Venezia Giulia in una possibile strategia Euroasiatica. Mentre alcuni imprenditori sottolineavano polemicamente i rischi nell’abbandonare lo storico alleato americano (per il Friuli primo paese importatore, oltre che attenta sentinella, vedasi NATO e Gladio) a favore del colosso cinese, le istituzioni (sottosegretario e presidente) hanno risposto con informata pacatezza: il porto di Trieste, come tutti i porti italiani, e’ pubblico quindi non puo’ essere venduto come il Pireo; d’altro canto c’erano gia’ trattative con Capodistria, quindi si trattava anzi di recuperare un’opportunita’ che, se persa, si sarebbe trasformata in un danno colossale, tenendo conto che i cinesi si sono gia’ assicurati spazi strategici nei porti lungo tutta la rotta della nuova Via della Seta. Sottolineando che i paesi europei non possono firmare accordi commerciali, cosa che si fa attraverso l’Europa, ma solo per la promozione del proprio commercio estero, Geraci ha illustrato i provvedimenti che si stanno prendendo, inclusa una sala espositiva per le imprese italiane, non solo agroalimentari (vedi vino) nelle citta’ di Pechino e nella monster Chong Qing (40 milioni di abitanti), suggerendo comunque di creare dei consorzi del vino che evitino la frammentazione attuale di etichette, apponendo alle bottiglie un marchio di made in Italy e un riquadro QR che permetta ai consumatori cinesi, tutti muniti di cellulare, di vedere un brevissimo filmato sulle regioni o localita’ di provenienza.

Insomma bisogna cominciare a pensare all’Eurasia come a una opportunita’ rappresentata dal progetto multimiliardario One Belt, One Road (investimenti come 12 vote il Piano Marshall) che, come illustra il documentario di Pio d’Emilia, La ferrovia della seta, scorre sulle rotaie che da Sichuan arrivano a Duisburg in Germania, ma che con sorprendente velocita’ sta tracciando nuovi percorsi.