Sergio Mattarella comincia il suo discorso nel salone dei corazzieri al Quirinale rivendicando la decisione di portare la legislatura a compimento. Resistendo così alle richieste pressanti di Matteo Renzi, che ancora due giorni fa in un’intervista al Corriere della Sera ha voluto polemizzare con chi non lo ha assecondato nella pretesa di votare a giugno scorso. Naturalmente il presidente della Repubblica si ferma molto lontano da una polemica diretta. Ma il suo orgoglioso incipit sul «ritmo fisiologico dell’ordinamento democratico», premessa di «un’ordinata vita istituzionale», è chiaramente un messaggio per il grande assente (assieme a Berlusconi) alla cerimonia degli auguri di natale sul Colle: il segretario del Pd. Che in un solo giorno incassa così due eleganti stoccate. La prima è quella del presidente di Banca d’Italia Ignazio Visco, che per essere al Quirinale ha interrotto la sua lunga testimonianza davanti alla commissione banche. La seconda quella del capo dello stato.

Tre sono gli «importanti obiettivi» che la chiusura regolare della legislatura, secondo Mattarella, ha consentito di raggiungere. La manutenzione del ruolo internazionale dell’Italia (presenza nel Consiglio sicurezza Onu, presidenza del G7). L’approvazione della nuova legge elettorale «con regole omogenee e non dissonanti» – proprio come chiesto dal capo dello stato esattamente un anno fa nell’analoga cerimonia di auguri. E soprattutto, l’ultimo anno di legislatura «ha consentito di accompagnare la ripresa economica, agevolandola». Un modo garbato per riconoscere al governo Gentiloni quello che Renzi quotidianamente rivendica per i suoi «mille giorni».
A voler leggere tra le righe, tutto il discorso di Mattarella serve a tessere una rete di protezione attorno all’attuale capo del governo. In previsione della necessità di prolungarne il servizio, quando le elezioni restituiranno un parlamento di difficile composizione. Del resto lo sforzo di interpretazione è indispensabile; lo stile del presidente è assai diverso da quello del suo predecessore Giorgio Napolitano (seduto ieri in prima fila) che in questa solenne occasione non mancava quasi mai di dettare i compiti alle forze politiche.

Ancora poche ore, però, e Sergio Mattarella dovrà necessariamente sedersi sulla poltrona del regista. Innanzitutto scegliendo la data dello scioglimento delle camere, dopo una veloce consultazione con i presidenti di senato e camera che già si annunciano protagonisti della prossima campagna elettorale. Resta da decidere solo se lo scioglimento arriverà immediatamente prima o subito dopo la conferenza stampa di fine anno di Gentiloni (prevista il 28 dicembre), la scelta sarà fatta ancora in funzione della massima tutela al presidente del Consiglio. Per lui il parlamento può essere solo fonte di problemi, una volta approvata la legge di bilancio.

Per l’anno che verrà Mattarella si augura una campagna elettorale «anche accesa» ma caratterizzata da «proposte comprensibile e realistiche». Come certamente non sono le promesse di abbassare le tasse a tutti, creare un (altro) milione di posti di lavoro, introdurre il reddito di cittadinanza senza indicare le risorse – per citare annunci di Berlusconi, Renzi e Di Maio. Mattarella chiede ai partiti di concentrarsi su «obiettivi e percorsi adeguatamente approfonditi» anche perché la considera «una strada per ridurre l’astensionismo». E non rinuncia a indicare tra questi obiettivi quello di «rinsaldare la fiducia nell’Europa». «Le vicende dell’Italia sono strettamente legate a quelle dell’Unione e di questo vi è consapevolezza diffusa tra i cittadini», dice. Marcando così la distanza con l’antieuropeismo di Salvini e Di Maio (entrambi saliti al Colle per ascoltarlo).
Europeismo e realismo, sembra proprio il ritratto di Gentiloni. Ma non sarà facile. Il capo dello stato si prepara allora a sollecitare quelle convergenze che saranno necessarie, quasi obbligate in regime proporzionale: «Il prezioso assetto pluralistico che ci assegna la Costituzione suggerisce e richiede consapevolezza dell’interesse generale».