È stata una giornata di ordinarie ruspe nella Roma in cui la dottrina Salvini si incrocia con l’applicazione amministrativa della giunta grillina. In mattinata i cingolati sono entrati in azione a via Scorticabove, al Tirburtino, dove decine di rifugiati sudanesi da novanta giorni vivono accampati davanti alla struttura che li ospitava e che nello scorso mese di luglio venne improvvisamente sgomberata. Si tratta di uomini e donne che da anni, in alcuni casi più di dieci, vivono in Italia e ai quali da tempo era stato riconosciuto il diritto all’asilo. Soltanto che la cooperativa che gestiva la struttura che li ospitava da tempo non aveva più alcuna convenzione col comune di Roma. Ne seguì lo sgombero al buio, al quale l’amministrazione comunale fece seguire la convocazione di un tavolo di confronto per trovare una soluzione. Formalmente quella trattativa è ancora in piedi quando gli agenti della polizia locale ripuliscono la strada che ospita i rifugiati.

Scatta la procedura è quella già vista in occasione degli altri sgomberi, che si tratti di case occupate o baraccopoli: il comune propone una struttura di bassa soglia, di quelle previste per le situazioni di emergenza, che spesso prevedono la necessità che le famiglie si dividano. Non alternative concrete insomma. Tanto che ieri, in via Scorticabove, soltanto una persona ha accolto la soluzione proposta dagli operatori sociali. Gli altri rifugiati si trovano in mezzo ad una strada. «Stanotte dormiremo davanti alla stazione Termini», dicono. «La linea dura della sindaca, in piena sintonia con la muscolarità salviniana, obbligherà questa sera decine di rifugiati sudanesi, tutti lavoratori, ad accamparsi», protesta Asia Usb, che ha seguito la vertenza. Da Pd e Sinistra Italiana si chiede che prima di sgomberare vengano disposte soluzioni praticabili.

Quasi in contemporanea, le ruspe si sono mosse verso un altro quadrante della periferia romana. Lungo la via Palmiro Togliatti, lingua d’asfalto che taglia trasversalmente le consolari Tuscolana e Casilina, gli agenti di polizia hanno abbattuto le baracche che fino a ieri ospitavano alcuni rom. Si tratta di un insediamento informale all’interno del quale viveva anche la famiglia di Cirasela, la bimba rom di quindici mesi che il 17 luglio scorso venne gravemente ferita da un colpo di fucile a piombini esploso da uno dei palazzi che affacciano sulla strada. Soltanto dopo giorni (e qualche protesta) la sindaca Virginia Raggi si decise a far visita alla piccola, ricoverata all’ospedale Gemelli. Da poco si è saputo che la bimba, nonostante il proiettile abbia lambito la spina dorsale, muove le gambe e in seguito ad una terapia di riabilitazione dovrebbe poter camminare. Per quel ferimento è stato indagato un ex impiegato del senato di 59 anni, che ha ammesso di aver sparato dal suo balcone con un arma potenziata «ma solo per fare una prova». La demolizione della casa di fortuna dentro al quale trovava riparo la famiglia di Cirasela, dicono dall’associazione 21 Luglio, è avvenuto «senza alcun preavviso».