L’importanza che l’«arte» cinematografica ha per la Mostra veneziana si esplica ormai da anni in una sezione specificamente dedicata ai classici, che quest’anno propone dei titoli che meritano senz’altro questa definizione: La notte di San Lorenzo (1982), in implicito omaggio alla scomparsa di Vittorio Taviani, il capolavoro decadente e trasgressivo di Luchino Visconti, Morte a Venezia (1971), girato nel limitrofo hotel Des Bains, in perenne stato di trasformazione immobiliare, Naked City (1948) di Jules Dassin, film chiave del neorealismo americano in un bianco e nero sobrio, il cupo e intellettualistico L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais che nel 1961 vinse il Leone d’oro. Non mancano neppure le commedie: la supernota ma restaurata A qualcuno piace caldo con una magnifica Marilyn e battute indimenticabili, e la meno nota ma non meno divertente Nothing Sacred (1937) di William Wellman, una screwball dark e ambigua con una strepitosa Carol Lombard in un ritrovato Technicolor.
Ma ci sono anche dei «classici tra i classici» come il film di pre-apertura (28 agosto) Il Golem, un must dell’espressionismo tedesco, dall’immaginario moderno (robotico), ma espressione delle fobie sociali tipiche della fase storica che conduce al nazismo, come scriveva Kracauer nel suo intramontabile Da Caligari a Hitler. Il Golem-Come venne al mondo (1920) scritto, diretto e interpretato da Paul Wegener è una favola ebraica ambientata nella Praga del 1500, in cui un rabbino riporta alla vita una creatura d’argilla, il golem. Timoroso di una possibile espulsione degli ebrei dalla città, il rabbino richiama in vita il mitico Golem perché possa difendere il suo popolo con la sua forza straordinaria, ma il mostro sfugge al controllo del suo creatore e finisce per rivoltarglisi contro. L’immaginifica regia di Wegener, sostenuta dalle scenografie di Hans Poelzig e soprattutto dalla fotografia di Karl Freund (autore poi della fotografia di Metropolis e de L’ultima risata) ha fatto deIl Golem non solo un classico dell’espressionismo tedesco, ma uno degli incunaboli del cinema horror, che ne riprende motivi, temi e stile visivo, col contributo decisivo dello stesso Freund, emigrato a Hollywood nel 1929. Questo film muto, proposto in una nuova copia digitale tratta dal negativo originale restaurato in 4K, viene presentato al Lido in prima mondiale, con l’esecuzione della musica originale condotta da Admir Shkurtaj ed eseguita dal vivo dal Mesimèr Ensemble.
Tra gli altri classici uno dei migliori e canonici film noir, The Killers (I gangsters, 1946) di Robert Siodmak, che mostra la continuità stilistica tra espressionismo e noir, con uno stile avvolgente (memorabile il piano sequenza della rapina). Tratto, per una parte, da un racconto giallo di Hemingway, che ha per protagonista il detective Nick Adams, sceneggiato da John Huston, Richard Brooks e Anthony Veiler, il film è costituito da un flash back che racconta «la colpa del passato», motore narrativo dell’intreccio noir. Al centro dell’intreccio una coppia fenomenale, un giovane Burt Lancaster e una conturbante Ava Gardner, seducente e pericolosa come una Medusa dallo sguardo magnetico. Memorabile il Burt Lancaster disteso al buio, con una canottiera che mette in risalto i suoi bicipiti da acrobata mentre attende la morte con uno sguardo disperato e fatalista.
La sezione classici propone anche il remake dallo stesso titolo, The Killers, in Italia Contratto per uccidere (1964), con Angie Dickinson, John Cassavetes, Lee Marvin e Ronald Reagan (alla sua ultima comparsa sullo schermo), trasformato da Don Siegel in un film d’azione, più violento e cattivo del prototipo noir. In proiezione verrà preceduto da una presentazione in video di Martin Scorsese, promotore del suo restauro.
Altrettanto fondamentale nella storia, in questo caso del cinema italiano, Il posto di Olmi, un film – quasi un documentario – che racconta l’eterna fatica della ricerca di un lavoro per i giovani italiani. Un ragazzo di famiglia modesta fa un concorso per sistemarsi, venendo così in contatto con la città moderna, la Milano degli anni Sessanta, e con una ragazza che turba i suoi pensieri (e quelli di Olmi, che di lì a poco la sposa). Considerato per il suo approccio documentaristico un continuatore del neorealismo, come le migliori opere di questa scuola Il posto include anche dei momenti grotteschi e un’empatia non sentimentalistica. Difficile scegliere tra questi classici, che non deludono mai, e le sorprese di un programma che può sempre riservare delle sorprese.