Più che di politica sembra che dagli studi di Porta a Porta Silvio il Galante abbia voglia di parlare di corteggiamenti maschili. Ci tiene a spezzare una lancia a favore di Catherine Deneuve e della 100 francesi che hanno messo in dubbio la santità della guerra alle molestie e si può capire che con i noti trascorsi Berlusconi si senta un po’ parte in causa. Catherine ha ragione: «E’ naturale che le donne siano contente se un uomo fa la corte».

Ma le urne incombono e non si può evitare di parlare di politica, anzi del programma comune del centrodestra e del vero tema che innesca contese: la riforma Fornero. «Non la si può abolire. Abbiamo approfondito con i nostri economisti e alcuni aspetti di quella riforma vanno mantenuti». Sono parole che non piacciono nemmeno un po’ all’alleato leghista, che poche ore prima aveva detto il contrario: «Io di aspetti positivi non ne ho trovato nemmeno uno. La Fornero va assolutamente cancellata». Salvini aveva subito aggiunto che «comunque con Berlusconi ci metteremo d’accordo», e magari andrà davvero così ma è evidente che nel centrodestra il clima negli ultimi giorni è cambiato, certo non in meglio, e all’origine della tempesta c’è probabilmente più l’enigma Maroni che il caso Fornero.

L’ex Cavaliere ha assicurato ieri che, almeno a quanto ne sa lui, Bobo vuole ritirarsi dalla politica e cambiare vita, e aggiunge che lui di conflitti tra il governatore uscente e il leader del Carroccio non ha mai avuto sentore. Non gli avrebbe creduto nessuno comunque, ma il fatto che la bugia venga pronunciata proprio mentre Maroni accusa Salvini di essere stato «stalinista» nei suoi confronti la rende ancora più plateale. Il punto dolente è che al ritiro dell’ex braccio destro dalla politica nessuno crede meno di Matteo Salvini. Il leghista conosce ovviamente i sondaggi che circolano con la dovuta riservatezza e che al momento accreditano al centrodestra 280 seggi. Pochi per mettere in piedi una maggioranza ed ecco spuntare di nuovo lo spettro del secondo tavolo su cui gioca Silvio, quello dell’asse con Renzi. Ieri lo ha evocato lui stesso, aggiungendo però che sarebbe possibile solo se il Pd «firmasse in toto il nostro programma». Sembra una mezza apertura, tanto che dopo un po’ Fi sente il bisogno di precisare: «Nessuna disponibilità a formule di governo diverse dalla coalizione di centrodestra».

Ma se le elezioni rendessero necessario e praticabile lo scenario della «larga intesa», il ruolo di Maroni potrebbe essere prezioso. Ieri su Panorama Kaiser Souze, pseudonimo dietro il quale si nasconde uno dei giornalisti più informati sugli affari di palazzo tanto a destra quanto al Nazareno, scriveva senza perifrasi che «se si rendesse necessario» un governo di larghe intese, Maroni «potrebbe essere l’uomo giusto per rendere potabile la Lega per il Pd». E’ questo il tranello che Salvini subodora. La via d’uscita indicata da Giorgia Meloni, un «patto anti-inciucio», non pare sufficiente, non avendo quel patto alcuna forza vincolante.

L’ordine impartito a Giancarlo Giorgetti, nelle cui mani sono le candidature del Carroccio, è stato di conseguenza tassativo: i maroniani, conclamati o presunti, vanno epurati. Bisogna impedire che Berlusconi possa contare su un cavallo di Troia nel gruppo leghista da portare in dote a Renzi.

Giorgetti sarà contentissimo di eseguire, dati i non luminosi rapporti con il governatore uscente. Capita però che sull’eventuale ingresso della Lega in un eventuale governo Pd-Fi proprio Giorgetti sia ancora più favorevole di Maroni.