La ripresa delle sinistre italiane è poco più che un filo di speranza, ma per verificare l’ipotesi bisogna parlarne con Emanuele Macaluso. Oggi compie 95 anni, di sinistre ne ha viste nascere tante, e fallire. Sindacalista, dirigente del Pci, migliorista, in segreteria con Togliatti, Longo e Berlinguer. Scrittore e formidabile polemista, sul suo profilo facebook Em.ma scrive un corsivo al giorno (a mano, poi l’attenta compagna Vincenza Maria D’Amelio, cioè Enza, la moglie, lo mette in rete). L’ultimo suo libro Portella della Ginestra, strage di stato?. Ieri pomeriggio, nella casa di Testaccio, quartiere popolare di Roma, ragiona sulla sua poltroncina rossa, libri ovunque, a sinistra la pila dei giornali. Iniziamo dai 5 stelle, quelli che hanno raccolto i voti che il Pd schifava: «Sono una forza politica equivoca. Il suo asse politico-culturale è la democrazia diretta, che non è quella della Costituzione. E la dipendenza dalla Casaleggio e da Grillo. Altro che centralismo democratico, il loro è centralismo non democratico. Infatti le espulsioni piovono».

Ma hanno posto questioni serie, non tutte da buttare.

Prendiamo il reddito di cittadinanza. Se ne può discutere. È stato anticipato dagli 80 euro di Renzi, che ha anticipato il grillismo anche in altro. Dare soldi come un obolo è una manovra elettorale. Servirebbero provvedimenti che stimolino l’occupazione e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori.

Sul lavoro il governo del Pd non ha fatto belle cose.

Tutti criticano il jobs act. Sì, ha delle parti discutibili. Ma la cosa più grave è che Renzi ha delegittimato il sindacato, ha detto che per il lavoro faceva di più Marchionne. Parliamoci chiaro: oggi Cgil Cisl e Uil, sono le uniche organizzazioni in cui il mondo del lavoro, almeno una parte, si ritrova. Il Pd non fa battaglie sociali nel paese, non le ha fatte mai. Con il mondo del lavoro Renzi aveva un rapporto o paternalistico, vedi gli 80 euro, o di disconoscimento del ruolo che dovrebbe avere. Il sindacato ha inciso nella costruzione del sistema italiano, del welfare, anche perché in passato aveva un retroterra politico, il Pci, il Psi, un pezzo della Dc. Oggi è stato delegittimato. Ma avverto una ripresa. E senza partiti di riferimento, per contare deve essere unito.

Landini, il nuovo leader Cgil, fa una proposta di unità di azione.

Landini ha delle qualità, è determinato, ha la capacità di affrontare l’avversario. In passato ha fatto l’errore della Coalizione sociale, mezzo partito e mezzo sindacato. Ma poi c’è stata una discussione politica. Spero che il sindacato, sulla strada dell’unità, riprenda forza: con le sue lotte sociali può dare senso maggiore alla politica.

Hai molto criticato il Pd perché aveva “smarrito l’orizzonte”. Con Zingaretti lo ritroverà?

A non avere un orizzonte non era solo il Pd di Renzi, ma il Pd. È la critica che ho fatto agli eredi del Pci, D’Alema, Veltroni, Fassino. Il loro obiettivo principale era portare la nuova forza al governo. Ma è mancato il progetto politico per la società. E se oggi dalla società viene un consenso alla destra vuol dire che non c’è stata una battaglia politico-culturale. Il Pd non ne ha mai fatta una perché non è insediato in quello che oggi si chiama territorio. Bobbio diceva che la sinistra è tale se tende all’uguaglianza. Prima si diceva ’la via italiana al socialismo’. Ora pare che non si possa neanche parlare del socialismo in Italia. Vengo a Zingaretti: leggo dei candidati alle europee. Bene. Ma se un partito della sinistra non indica dove vuole portare la società, la società va a destra. Prima in Italia il 7 per cento si dichiarava razzista, oggi il 30: è mancata una forza che agisse nei quartieri, nei posti di lavoro, nelle periferie. Se non ci sei non orienti. Difendere i migranti è giusto, ma non basta.

Zingaretti ha riaperto il dialogo a sinistra. Ha un rilievo?

È un fatto positivo, ma bisogna aprire il dibattito sulle basi di questo allargamento. E bisogna espandersi anche verso il centro, come hanno fatto tutti i partiti socialisti e anche il Pci, Togliatti pronunciò il famoso “Ceto medio ed Emilia rossa”. Però se perdi l’ancoraggio a sinistra il discorso verso il centro diventa un’altra cosa. È quello che ha fatto Renzi, che infatti voleva un partito di centro.

La Spd e il Labour hanno cambiato direzione rispetto ai loro anni 90. Su quegli anni, sulla globalizzazione, aveva ragione la sinistra radicale?

Il problema non è la globalizzazione ma come ti opponi. Mentre era in corso il processo di globalizzazione capitalistica la sinistra italiana si frantumava. Su questo l’Internazionale socialista di Willy Brandt fece un documento straordinario. Dopo, il partito socialista europeo non ha fatto niente, né una battaglia, né una piattaforma. E la battaglia o è europea, almeno, o non ha sbocchi.

Blair più che contrastarla l’ha cavalcata.

Blair è stata la fase del ripiegamento verso il neoliberalismo. Si muoveva dentro quel sistema, non per contrastarlo.

Questo potrebbe voler dire che oggi le distanze fra sinistra riformista e radicale si accorciano?

Lo spero. Ma, ripeto, si dovrebbe aprire un dibattito. Ma mancano le sedi. E il Pse non ha fatto neanche tentativi di questo genere.

Seguo all’indietro il filo dei rapporti a sinistra. Luciana Castellina racconta che tu e Iotti foste gli unici a non toglierle il saluto dopo la radiazione del 69. Per buona creanza o perché hai una passione per gli ’eretici’?

Io ho una passione per l’unità della sinistra. Quando il gruppo del manifesto aveva sede alla salita del Grillo, abitavo là, con la mia compagna di allora. Li invitai a pranzo, Rossanda, Lucio Magri e Castellina. Dissi: ’Cercate di attenuare, anche Berlinguer credo non voglia questa rottura, sospendete la rivista. Poi vediamo come proseguire’. Loro furono intransigenti. Ma io con loro ho mantenuto i rapporti stretti. Con Valentino siamo stati sempre amici. E ho avuto un rapporto forte con Magri. Nel Pci aveva lavorato un po’ con me. Quando scrisse il suo ultimo libro, Il sarto di Ulm (era il 2009, ndr), mi chiamò e mi chiese di rivedere le bozze, se c’erano delle inesattezze, visto che avevo criticato quello di Rossanda. Prima che prendesse la decisione di suicidarsi, avevo capito che era in uno stato di depressione, veniva qualche volta a trovarmi. Ho frequentato anche Giancarlo Aresta. La mia propensione verso i compagni del manifesto non è stata mai la demonizzazione. Certo, quando Rossanda scrisse il famoso articolo intitolato «L’album di famiglia» risposi per le rime. Ma sempre con rispetto, erano – e sono – compagni che hanno una posizione diversa dalla nostra.

Il fatto che fossi uno dei pochissimi nel Pci vuol dire che nel Pci c’era del fanatismo sul partito.

Luciana racconta che Pajetta non la salutava neanche. Ma Pajetta era figlio dell’Internazionale comunista.

Dicevi dell’assenza dei luoghi di dibattito. Questo governo forse finirà, senz’altro si lascerà dietro l’ecatombe dei giornali.

La situazione dei giornali è grave. Non è che non ci sia dialettica. Ma tranne il manifesto non c’è un giornale della sinistra, non ce n’è uno grande e forte. Repubblica non è che non critichi il governo ma… ti racconto una cosa. Repubblica mantiene su di me un black out per una polemica, sacrosanta, che feci da direttore dell’Unità contro Scalfari. Lui oggi si presenta come padre putativo di Berlinguer ma nell’83 il giorno del voto fece un titolo: o Craxi o De Mita. Capisci? Il Pci pigliò il 30 per cento ma lui si scordò di Berlinguer e invitò a votare De Mita contro Craxi. Con la beffa che dopo De Mita fece fare a Craxi il presidente del consiglio.

Torniamo alla stampa.

Per me è una preoccupazione. Per il taglio ai finanziamenti di Radio Radicale e del manifesto. Il governo non tollera nulla, i giornalisti sono nemici. Salvini ha detto che si ispira alla democrazia illiberale di Orbán, e una delle cose che ha fatto Orban è liquidare la libertà di espressione. Bisogna stare attenti. Non per me, io sono in uscita dalla vita, ma per le nuove generazioni: non c’è democrazia senza libertà di stampa.

La fase calante dei 5 stelle è definitiva?

I 5 stelle sono a servizio di Salvini. In Italia dopo la Liberazione c’è stato il Movimento dell’Uomo qualunque, aveva una consistenza, avevano il sindaco di Palermo, di Catania, di Messina, a Napoli c’era Lauro. La rivista vendeva quasi un milione di copie. Giannini era un commediografo e sapeva scrivere, non come questi. Però poi si squagliarono quando ripresero le lotte sociali, la battaglia politica vera. Anche Togliatti intervenne. Il ’vaffa’ è copiato da loro. I 5 stelle non hanno una consistenza reale, hanno lucrato sulla crisi di credibilità dei partiti, perché il Pd era quello che era e non c’era altro. Salvini ha un insediamento vero, questo Di Maio è agli ordini di Casaleggio e Grillo, lui è poca cosa, ride, ha la spocchia da piccolissimo borghese che ritiene di essere arrivato chissà dove. M5S non è una forza che possa resistere al ritorno della politica. E credo che presto tornerà la dialettica destra – sinistra, che è la dialettica delle società mature.