Fino a tutti gli anni settanta è negli Stati Uniti che Hugh Masekela è largamente popolare: oltre naturalmente che in Sudafrica, che, ventunenne ma già jazzman affermato, ha lasciato nel ’60 per New York col sogno di farsi onore tra i grandi del jazz. Negli anni ottanta il pubblico che nel resto del mondo, e innanzitutto in Europa, fa conoscenza con il trombettista come uno dei protagonisti della nuova musica africana e uno dei simboli della lotta contro l’apartheid, è poco consapevole del grande successo di Masekela nei due decenni precedenti: molti dei suoi album americani non sono mai stati distribuiti a livello internazionale e già allora non sono agevolmente reperibili, e molti non saranno ristampati in Cd neanche in seguito. C’è da compiacersi allora che un triplo Cd, Masekela ’66-’76 (Wrasse Records), ci offra una organica ricostruzione del decennio che comincia con il debutto della Chisa Records del produttore e stretto amico Stewart Levine: a maggior ragione perché si tratta di una auto-antologia, allestita assieme da Levine e dallo stesso Masekela poco tempo prima della morte nel gennaio scorso. E’ proprio nella collaborazione con Levine, con cui Masekela condivide la fascinazione per il jazz ma anche quella per i Beatles e per la black music della Motown, che comincia a maturare la formula vincente, i cui ingredienti di base sono jazz, musica sudafricana, pop, funk, soul, e da un certo momento musica del Ghana e poi anche brasiliana.

Undici gli album toccati dalla raccolta, di cui due, mai ristampati né in vinile né in Cd, riprodotti integralmente, Masekela introducing Hedzoleh Soundz, inciso nel ’73 a Lagos con musicisti del Ghana, e I Am Not Afraid, inciso nel ’74 con musicisti del Ghana e Joe Sample e Stix Hooper dei Crusaders: quest’ultimo – scrive Levine nelle note – considerato da lui e Masekela il più brillante risultato che erano riusciti a conseguire. E’ una produzione che punta al largo consumo: la sua magia è che riesce ad intercettarlo senza edulcorare gli elementi a cui ricorre, facendoli invece reagire creativamente in un amalgama del tutto originale e ricco di novità, di grande comunicativa ma anche di forte consistenza espressiva.

Una produzione da cui Masekela emerge come un talento di primissimo livello, tanto come trombettista di grande classe e pathos, e coinvolgente anche come vocalist, quanto come regista della fusione di suggestioni musicali diverse. In questo Masekela, da solo, e per diversi anni del tutto separato dal continente nero, è lo straordinario artefice di una magnifica forma di musica africana moderna. Musica piena di passione, artistica e non solo. Nelle note Levine sottolinea puntualmente il profilo politico di Masekela: nel ’66 Masekela è per esempio uno dei nomi di spicco al festival di Watts, messo in piedi nell’anniversario della rivolta dell’anno prima; i suoi concerti diventano degli appuntamenti per i leader neri come Stokely Carmichael e Huey Newton; subito dopo il clamoroso exploit di Grazing in the Grass, che nel ’68 arriva in cima alla classifica Usa dei singoli pop, Masekela invece di adagiarsi realizza un album molto politico che viene boicottato; e in un album musicalmente accattivante come Colonial Man, su cui si chiude l’antologia, sceglie però di impartire una sua vivace lezione di storia della colonizzazione.